In Portogallo, dove i vaccini vanno alla grande e le polemiche son “schiuma dei giorni”

Marcello Sacco

Anche qui c'è un militare alla guida della task force, i virologi hanno invaso le tv e l'estrema destra soffia sul fuoco della protesta anti vax. Eppure i portoghesi si sono vaccinati in massa. Merito di un'ottima organizzazione. Analogie e differenze con il nostro paese

Lisbona. Anche in Portogallo, dall’inizio della pandemia, si è moltiplicato il numero di virologi ed esperti presenti a vario titolo nello spazio pubblico, ma nessuno “blasta” nessuno sui social, né alza la voce in tv. Anche in Portogallo a guidare la task force dei vaccini c’è un militare, il viceammiraglio Henrique de Gouveia e Melo, che ogni giorno appare in pubblico rigorosamente in tuta mimetica, come se stesse andando a fare la guerra in Africa. Qualcuno se n’è innamorato e ne ha tessuto lodi sperticate, qualcun altro ha temuto il culto della personalità per l’uomo in divisa e ha provato a lanciare il solito allarme golpe, ma infatuazioni e polemiche si sono perse in quella che i portoghesi, con un bel francesismo à la Boris Vian, chiamano “schiuma dei giorni”.

Restano i numeri, sicuramente lusinghieri: 100 mila vaccini solo nell’ultimo fine settimana (somministrati soprattutto agli adolescenti fra i 12 e i 17 anni) e una media di oltre 57 mila vaccini al giorno nell’ultima settimana, che ha sbalzato il paese al primo posto in Europa e fra i primi nel mondo. Così ieri, primo  settembre, era già stato raggiunto l’obiettivo che il governo del socialista António Costa aveva fissato per ottobre, vale a dire che l’85 per cento della popolazione aveva ricevuto almeno una dose dei principali vaccini approvati, mentre il 74 per cento fra i vaccinati ha già fatto il richiamo. Tutto ciò senza grandi intoppi o eccezioni al principio di non obbligatorietà. 

Certamente anche in Portogallo, per proseguire con le analogie, ci sono state manifestazioni prima contro le chiusure, poi contro le mascherine (anche se molti manifestanti scendevano in piazza rigorosamente mascherati) e infine contro i vaccini. Un malcontento su cui l’estrema destra, in Portogallo ancora relativamente debole, ma notoriamente in crescita, ha provato a mettere il cappello. Però gran parte di questa refrattarietà è rimasta apolitica, come le centinaia di ragazzi che nei quartieri della “movida” (ispanismo che qui non si sognerebbero di usare tanto come in Italia) si assembrano e rifiutano di disperdersi anche dopo l’orario di chiusura dei locali. Per il resto, per convincere i portoghesi a vaccinarsi è bastata una logistica che, pur con qualche (in)evitabile eccezione incresciosa, ha reso tutto abbastanza semplice: prenotazioni online, chiamate per sms, hub operativi quasi sempre efficienti. E le percentuali dei riottosi sono state finora così irrisorie che non si è sentito il bisogno neppure di minacciare misure disciplinari dure. Perfino negli ospedali il personale è sempre stato libero di rifiutare, ma le richieste e addirittura le pressioni per accelerare il procedimento hanno spinto l’ordine dei medici a negoziare con la task force la creazione di un corridoio per somministrare seimila vaccini a tutti quei professionisti che con il Servizio sanitario nazionale hanno rapporti di lavoro precari o irregolari. Proprio questo Servizio sanitario nazionale, lungi dall’essere un ineccepibile fiore all’occhiello del paese, è tuttavia diventato negli ultimi anni un importante fronte della battaglia politica in atto. Sempre provata dalle successive crisi economiche e dai conseguenti tagli finanziari nella storia recente (l’intervento della troika del 2011, in Portogallo, è stato il terzo in poco più di tre decenni), la sanità pubblica è un tema sempre sensibile e il programma di vaccinazione, in particolare, è uno strumento che sia i medici di base, sia le scuole hanno saputo diffondere senza grossi attriti con la popolazione. 

L’obbligo del certificato vaccinale (o, in alternativa, di un test negativo) rimane in vigore nel settore alberghiero e ristorativo. Ma anche qui si sta già pensando di anticipare la terza fase delle riaperture, lasciando cadere almeno alcune restrizioni per ristoranti, bar e discoteche. Per ora, il primo a cadere sarà probabilmente l’obbligo della mascherina all’aperto. Approvata un anno fa, la legge scade il 12 settembre e il parlamento non dovrebbe rinnovarla. La politica ha bisogno di trarre qualche profitto nell’immediato e il prossimo 26 settembre incombono le elezioni amministrative che, malgrado le solite “mani avanti”, finiscono sempre per riflettersi sulla salute di governo e opposizioni.

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