Un horror internazionale a puntate

Collasso afghano, episodio quarto

Daniele Raineri

Un premio Pulitzer muore in un’imboscata talebana mentre seguiva i commando

Riassunto delle tre puntate precedenti. Il ritiro dall’Afghanistan ordinato dall’Amministrazione Biden procede più rapido del previsto. All’inizio di luglio i soldati americani abbandonano senza avvisare e nel cuor della notte l’aeroporto militare di Bagram, a poca distanza dalla capitale Kabul. Era la base militare più grande del paese e ora è vuota. Nel frattempo i talebani conquistano un distretto dopo l’altro e siccome sono diventati più scaltri e hanno imparato dagli errori del passato cominciano dal nord e occupano tutti i valichi alle frontiere, per controllare chi e cosa entra nel paese. E’ una strategia dell’asfissia. Per occuparsi delle grandi città ci sarà tempo. Gli afghani che non vogliono tornare sotto il dominio degli estremisti sono in preda al panico e a migliaia cominciano a fuggire verso l’ovest e verso l’Europa


I centottantamila uomini dell’esercito afghano sono più numerosi dei talebani ma negli avamposti isolati e lontani dalle grandi città stanno cedendo e spesso senza sparare un colpo (a volte sono giustificati perché non hanno munizioni). Abbandonano armi e veicoli blindati ai talebani – in molti casi è roba fornita dagli americani, che in questo modo va a finire nelle mani dei nemici – in cambio della vita e tornano alle loro case dopo avere promesso che non si arruoleranno più. I talebani registrano i loro nomi e ogni tanto li controllano, per vedere se hanno mantenuto la promessa. Ma c’è un corpo che sta lottando contro il ritorno dei fanatici con tutte le sue forze. Sono i ventimila uomini dei commando afghani, meglio equipaggiati degli altri soldati, addestrati dagli americani in una base a sud di Kabul e molto motivati a combattere. Se capita di vedere foto o video dalla guerra afghana si possono riconoscere con facilità: sono quelli che sembrano soldati occidentali con uniformi strette e armi vere – invece che indossare un misto di mimetiche allentate e vestiti civili come gli altri – e sono spesso rasati con cura in un paese di barbe folte. Questa settimana è uscito un filmato girato con un telefonino che mostra i talebani mentre ne accerchiano ventidue, rimasti anche loro senza munizioni. I talebani gridano “arrendetevi, arrendetevi”, quelli escono a mani alzate, i talebani li ammazzano da pochi metri di distanza. I guerriglieri non concedono loro i benefici concessi agli altri soldati, perché i commando sono la parte  che ancora funziona e regge il resto. Sono il lascito più pericoloso dei vent’anni di presenza straniera in Afghanistan, assieme agli elicotteri. Sono la spina dorsale che va fratturata per avanzare sulle città. 

Non che i commando siano teneri con i talebani. Un mese fa ha fatto scalpore un video nel quale bruciano i cadaveri dei nemici e ci sono foto recenti che mostrano cadaveri di talebani appesi al cofano dei blindati come trofei. Questo è quello che si riesce a vedere e per una legge naturale è meno di quello che succede. 

Il governo di Kabul non usa i commando secondo una strategia ordinata, ma come una forza di intervento rapido per fronteggiare le emergenze. Una città è in pericolo e i talebani sono alle porte? Il governo manda i commando a cacciare i guerriglieri dalla periferia e a guadagnare un po’ di tempo, fino a quando non torneranno. Questo vuol dire che in questo periodo durissimo – non erano mai morti così tanti soldati afghani come nel giugno 2021 – i commando ruotano di città in città, nel nord a Kunduz e nel sud a Kandahar e in ogni altro luogo dove è richiesta la loro presenza. Non c’è un fronte unico della guerra: si combatte in ottanta distretti diversi. 


Questa settimana un reporter indiano di Reuters, Danish Siddiqui, uno che ha vinto il premio Pulitzer, ha raccontato delle missioni a rischio altissimo dei commando assediati a Kandahar. Il ritmo è elevato, le pause fra un operazioni e l’altra molto corte. Cinque giorni fa i commando sono andati a recuperare un poliziotto che era rimasto bloccato sotto il fuoco talebano appena fuori città, quando hanno raggiunto il confine della campagna sono stati attaccati da un fuoco violentissimo, lanciarazzi e mitragliatrici, hanno caricato a bordo il poliziotto ma i tre blindati di testa sono stati colpiti e resi inservibili. Gli uomini sono scesi per distribuirsi sugli altri blindati e tutti sono tornati a Kandahar. Siddiqui era su un blindato, ha registrato i razzi che colpivano il mezzo e ha scritto un reportage intenso. Ieri   è morto assieme ai commando mentre era in un’altra missione che è finita in un’imboscata. 
 

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)