Razzi lanciati verso Israele dalla Striscia di Gaza e la risposta del sistema di difesa missilistico israeliano Iron Dome (Foto di Fatima Shbair / Getty Images) 

I timori di israele

“Ho paura per lo stato ebraico”. Intervista a Yossi Klein Halevi

Giulio Meotti

Fra la minaccia di guerra civile e i missili su Tel Aviv. L'intellettuale israelo-americano sul conflitto di Gaza: "Sono a favore dei due stati, ma tremo anche all’idea. Cosa succederebbe se ci ritirassimo dalla Cisgiordania?"

Nel 1991 Saddam Hussein lanciò 39 scud su Tel Aviv. Il comandante dell’aeronautica israeliana dell’epoca, Avihu Ben-Nun, dirà che “solo una testata è stata colpita dai missili Patriot”. Da dieci anni sopra Israele c’è Iron Dome e a oggi ha intercettato 2.500 missili che sarebbero caduti sulle case israeliane. Eppure, c’è la sensazione che Israele sia ormai sulla difensiva e che Hamas abbia preso le misure di Iron Dome.

 

Martedì altri due morti israeliani (dieci in totale) colpiti dai mortai da Gaza, mentre Israele faceva sapere che è di 150 terroristi uccisi il bilancio dei suoi strike (su 212 vittime totali). Tremila i missili lanciati da Gaza in meno di una settimana. Ma i funzionari della Difesa israeliana stimano che Hamas e altri gruppi terroristici islamici a Gaza abbiano 30 mila tra razzi e missili. Compresi gli M-75 e i J-80, che hanno una portata di 70 chilometri e che i funzionari della difesa israeliana ritengono che siano stati fabbricati a Gaza sulla base di un progetto iraniano.

 

 

“Vedo molti disastri in questi giorni”, dice al Foglio Yossi Klein Halevi, intellettuale israelo-americano, autore di “Letters to My Palestinian Neighbor”, senior fellow allo Shalom Hartman Institute di Gerusalemme e columnist del New York Times. “Hanno colpito l’area di Tel Aviv, molto più efficacemente di altri nemici prima di oggi. E Hamas dovrebbe essere il nemico più debole. Cosa possono fare Hezbollah e l’Iran? Questo round di combattimenti tra Israele e Gaza è solo l’ultima fase di una guerra contro l’esistenza di uno stato a maggioranza ebraica. L’intento dei nostri nemici è lo stesso: destabilizzare i nostri confini, demoralizzare i nostri cittadini e, infine, provocare il disfacimento dello stato ebraico”.

 

 

Politicamente è un disastro, perché Hamas ha preso la guida degli interessi palestinesi. “Hamas è stato molto bravo. Abbiamo dato loro un pretesto, perché avremmo dovuto essere più attenti durante il Ramadan. Abbiamo consentito a Hamas di lanciare la guerra che voleva. Hamas non è ideologia, è teologia, per loro è ‘tutto o niente’. Loro vogliono la distruzione di Israele. Abu Mazen è pragmatico, ma ha paura, ha avuto due possibilità di fare la pace, ma si è sempre ritirato, atterrito. La fazione moderata non ha il coraggio e la volontà di accettare un compromesso”.  

 

 

L’altro disastro è l’opinione pubblica mondiale, non tanto le cancellerie, ma l’umore popolare. “Quando veniamo denunciati come criminali di guerra per aver difeso le nostre case da un attacco terroristico, respingiamo le accuse con disprezzo, considerando i nostri detrattori come ignoranti o maligni” continua al Foglio Yossi Klein Halevi.


“C’è sempre la stessa stupida reazione: anziché riconoscere che Israele non ha scelta nel fermare i missili e accettare che Israele ha di fronte un nemico assassino che richiede di essere forti, il mondo reagisce in maniera emotiva, ignorando le circostanze”. 


Ma il peggior disastro per Yossi Klein Halevi è quello che succede all’interno del paese, fra arabi ed ebrei. “È la minaccia della guerra civile dentro lo stato ebraico. Non era mai successo dopo il 1948. Una settimana fa, Israele era sul punto di formare il suo primo governo ebraico-arabo congiunto, rompendo lo stallo politico che ha causato quattro elezioni inconcludenti in due anni. Ora, all’improvviso, stiamo vivendo la peggiore violenza arabo-ebraica della nostra storia. Non in Cisgiordania ma a Haifa, Acri, Lod, il cuore di Israele. Gli israeliani sanno come convivere con gli attacchi missilistici sulle nostre città. Ma non sappiamo come affrontare le folle ebraiche e arabe che vagano per le nostre strade, attaccano sinagoghe e moschee e linciano i concittadini”. 

 


Tutti questi missili nella testa del mainstream israeliano hanno definitivamente sepolto l’idea di ritiro. “Non ci sarà più alcun ritiro unilaterale, come a Gaza nel 2005, ma spero ancora in un accordo con i palestinesi. Sono a favore dei due stati, ma tremo anche all’idea. Cosa succederebbe se ci ritirassimo dalla Cisgiordania e questa diventasse una nuova Gaza? Io vedo la West Bank dalla mia finestra. Vedrò un’altra Gaza dalla mia finestra? Le persone nel mondo non possono capire”. 
Ma la sua più grande paura è un’altra. “È un Iran nuclearizzato”. Ieri, tanto per rassicurare Yossi Klein Halevi, Mohammad-Hossein Sepehr, il generale delle Guardie della rivoluzione, che finanziano e armano Hamas e la Jihad Islamica, ha detto: “Abbiamo un dovere religioso di annichilire Israele”.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.