Nel sud-est asiatico

L'affondamento dell'Asean

Il sottomarino scomparso diventa il simbolo del vertice delle nazioni del sud-est asiatico. Si è discusso della crisi in Myanmar, con molte promesse e molte assenze

Massimo Morello

Nonostante i proclami e le dichiarazioni di un orgoglio asiatico contrapposto a un occidente in decadenza, i paesi dell’Asean (e l’associazione stessa) stanno dimostrando l’incapacità nel far fronte alle sfide che si susseguono nell’area. Il caso del Myanmar è emblematico.

"Siamo passati dalla fase di ‘sottomarino disperso’ a quella di ‘sottomarino affondato’", ha dichiarato il capo di stato maggiore della marina indonesiana ammiraglio Yudo Margono in una conferenza stampa svolta a Bali il 24 aprile. Il sottomarino è il “KRI Nanggala-402” scomparso il 21 aprile nelle acque a nord dell’isola con a bordo 53 uomini d’equipaggio. Era entrato in servizio nel 1981, quarantaquattro anni fa.


Lo stesso giorno si è svolto a Giakarta il vertice straordinario dell’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico (Asean) per discutere della situazione in Myanmar. In poche ore è stato raggiunto un accordo in cinque punti che afferma la necessità di fermare ogni violenza e iniziare un dialogo tra le parti per cercare una soluzione pacifica, la nomina di un inviato sociale dell’Asean per facilitare il dialogo e incontrare tutte le parti in causa, la costituzione di un centro di assistenza umanitaria.   
I due episodi sembrano collegati solo dalla data e dal luogo, l’Indonesia. Ma il primo – tale anche nelle cronache del sud-est asiatico - appare come un tragico simbolo: del declino, se non dell’affondamento, di un modello. Quello che sembrava definire il sorgere del secolo asiatico, l’affermarsi dei cosiddetti “valori asiatici”. Un sistema che si è rivelato efficiente solo in una città stato qual è Singapore. Ma che negli altri paesi dell’Asean comincia a mostrare deficienze, inefficienze e pericolose deviazioni.

 

Nonostante i proclami e le dichiarazioni di un orgoglio asiatico contrapposto a un occidente in decadenza, i paesi dell’Asean (e l’associazione stessa) stanno dimostrando l’incapacità nel far fronte alle sfide che si susseguono nell’area. Il caso del Myanmar è emblematico. Al vertice non sono stati invitati i rappresentanti del National Unity Government (Nug), il “governo ombra” formato da parlamentari del governo eletto e rappresentanti dell’opposizione. Il Nug, quindi, ha espresso una ferma condanna per la presenza del generale Min Aung Hlaing, autore del golpe. Ma dopo il vertice, il dottor Sasa, ministro per la cooperazione internazionale del Nug, colui che si è presentato come il volto dell’opposizione, ha definito “incoraggianti” i risultati dell’incontro. Come hanno fatto tutti, dal premier cambogiano Hun Sen, al primo ministro di Singapore Lee, al vice primo ministro Thailandese Don Pramudwinai. Quest’ultimo presente in sostituzione del primo ministro Prayut Chan-o-cha, che sta facendo di tutto per far dimenticare che lui stesso ha preso il potere e lo sta mantenendo in modo simile al generale Hlaing (seppure forte di un consenso molto maggiore e con un golpe incruento), che dal canto suo dichiara d’ispirarsi al modello thailandese.  

 

In questo gioco delle parti che si cela dietro una cortina di acronimi, questo teatro delle ombre così squisitamente asiatico, sembra difficile intravedere una soluzione reale alla crisi birmana. Se non quella che salvi la faccia a tutti, convitati compresi, con vaghe affermazioni di principio, il ritorno a una presunta centralità dell’Asean. La soluzione più comoda per i militari e per alcuni esponenti del Nug che sperano in un ipotetico governo di unità nazionale libero dall’ingombrante presenza di Aung San Suu Kyi. Il che giustificherebbe la diffidenza delle Eao (Ethnic Armed Oranisations), sempre più scettiche riguardo la possibilità di un accordo. «Non siamo più così ingenui» ha dichiarato Padoh Taw Nee, ministro degli esteri” della Karen National Union (Knu).

 

Nel frattempo, in Birmania la repressione continua e il contatore dei morti (considerando solo quelli conosciuti e solo tra i manifestanti) è vicino a ottocento. Mentre sono milioni le persone minacciate dalla fame. Uno scenario da catastrofe che giustifica un’altra possibile soluzione, al limite della fantapolitica, simile alle trame dei romanzi di Tom Clancy, il creatore di techno-thriller strategico-militare. È quella delineata in un articolo di Anthony Davis, analista geopolitico e militare specializzato in Sud-est asiatico, lui stesso un personaggio à la Clancy. Secondo Davis la volontà e il coraggio dimostrati dai manifestanti e l’escalation di violenza da parte delle Forze speciali birmane potrebbero portare gli Stati Uniti a mettere in atto la cosiddetta “Tomahawk diplomacy”, versione 4.0 della “diplomazia delle cannoniere”, ossia il lancio di missili Tomahawk da cacciatorpediniere o sottomarini nella Baia del Bengala con obiettivo le basi aeree del Myanmar. Un’operazione che dovrebbe servire anche da minaccia nei confronti di una Cina sempre più assertiva. E' evidente che la Cina potrebbe reagire con una pericolosa escalation, portando “l’orologio dell’apocalisse” a meno di un minuto dalla mezzanotte.


Come afferma Davis, tuttavia, l’opzione più realistica è che gli Stati Uniti adottino una strategia attendista, osservando la metastatizzazione del disastro birmano in tutto il Sud-est asiatico. Una pandemia geopolitica – parallela alle nuove ondate di Covid nella regione – che sta minacciando tutti i progetti cinesi sulle Vie della Seta.

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