Cosa succede nella colonia penale IK-2 dove è detenuto Navalny

I collaboratori dell'oppositore hanno ricostruito la vita nel campo. La parola d'ordine è "il nulla". Non parlare, non fare

Micol Flammini

Biden sanziona la Russia per l'avvelenamento e l'arresto dell'oppositore che ora si trova in un penitenziario nella regione di Vladimir. Le violenze e la disumanizzazione nei racconti di chi ha scontato una pena nello stesso posto

L’Amministrazione Biden ha annunciato le sue prime sanzioni contro la Russia per l’avvelenamento e l’arresto di Alexei Navalny: sono sanzioni mirate contro sette funzionari russi. Anche l’Unione europea ha approvato misure contro quattro funzionari di Mosca, utilizzando per la prima volta il suo regime per la protezione dei diritti umani. Il tentativo di  far vedere che  l’occidente sta continuando a guardare e sorvegliare la politica russa è stato accolto dalla propaganda del Cremlino che,  anziché parlare di sanzioni mirate, le ha presentate come un’iniziativa contro i cittadini russi.

 

Di Alexei Navalny non si sa molto in questi giorni. La televisione di stato russa ha fatto sapere che si trova nella regione di Vladimir, non lontano da Mosca, nella città di Pokrov, nella colonia penale numero due (IK-2). I collaboratori  dell’oppositore hanno detto di non aver ancora avuto sue notizie, ma di aver provato a ricostruire la vita nel penitenziario, di aver raccolto dettagli, testimonianze di chi c’è stato o di chi ha difeso qualche detenuto. La parola d’ordine, hanno raccontato è “il nulla”. Nel nulla Navalny dovrà trascorrere due anni e mezzo, senza parlare, con mezz’ora a settimana per rispondere alle lettere che gli arriveranno, senza fare nulla. Dalle testimonianze raccolte dai sostenitori dell’oppositore ma anche da alcune testate contrarie al Cremlino, come la radio Ekho Moskvy o il sito Open media, i carcerati vengono tenuti in un regime di annullamento, durante il quale subiscono violenze e umiliazioni. 

 

A raccontare nel dettaglio quello che avviene nella IK-2 è stato Dmitri Dyomushkin, politico nazionalista ed ex detenuto. A Ekho Moskvy ha detto che il viaggio dentro alla colonia inizia con due settimane di isolamento, poi i detenuti vengono trasferiti in camerate molto grandi, spesso controllate dagli “attivisti”, carcerati che fanno le veci della polizia, con diritti particolari e con un unico compito: opprimere gli altri detenuti. I carcerati vengono picchiati, umiliati, non esistono momenti di solitudine, non esiste autonomia. Dyomushkin, che ora vive a Berlino, ha raccontato che i reclusi sono costretti a farsi la barba tutti i giorni, ma non possono toccare i rasoi, così sono gli “attivisti” a raderli, e il rasoio diventa spesso uno strumento di tortura. I detenuti trascorrono molte ore con le mani legate dietro la schiena – uno dei privilegi degli “attivisti” è proprio quello di avere le mani libere –  in piedi con la testa abbassata oppure seduti a guardare la televisione di stato. Non c’è modo di sottrarsi a questo processo, che è parte della condanna al silenzio che il Cremlino ha previsto per Navalny e per altri oppositori politici.

 

   

L’esistenza di una colonia penale, così come viene descritta da chi ci ha scontato una pena, esiste solo come sistema di rimozione di una persona. Il tentativo di cancellarne l’umanità: deformare l’avversario. Sul sito della Fondazione anticorruzione di Navalny, i suoi collaboratori hanno tracciato una mappa del campo. Questo processo di disumanizzazione ha un cammino preciso: inizia ai cancelli. Hanno raccontato che i detenuti vengono costretti ad accovacciarsi lì la prima volta. A dire nome, patronimico, cognome, pena. Il primo colpo viene sferrato lì. I media russi, raccontano i navalniani, hanno fatto sapere che però Alexei Navalny non è stato picchiato, ma finora nessuno ha avuto notizie da lui.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.