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Così Londra cerca di costruirsi un nuovo ruolo internazionale

Paola Peduzzi

Il vuoto americano e gli inglesi. Il governo Johnson rifiuta aperture alla Russia ed è duro con la Cina ma senza infilarsi nella faida Trump-Pechino. Peccato che poi c’è la Brexit

Milano. Sui negoziati della Brexit “non ci sono aree significative di progresso”, ha detto ieri Michel Barnier, capo negoziatore dell’Unione europea, confermando quel che tutti sapevano: le trattative sono state rallentate dal Covid-19, ma non è il metodo, il punto, “è la sostanza”. Entro la fine del mese, il Regno Unito dovrà decidere se chiedere una proroga oltre il 31 dicembre 2020: è un film già visto, e non si sa se nell’anno della pandemia ci sarà la pazienza necessaria per riviverlo un’altra volta. Di certo la questione Brexit condiziona grandemente tutta la politica estera del Regno Unito extraeuropea che in questo momento sta diventando molto assertiva soprattutto nei confronti della Cina.

  

La Brexit condiziona le scelte geopolitiche di Johnson perché il premier deve trovare un’alternativa commerciale al mercato unico europeo. L’America di Donald Trump è sulla carta il candidato ideale, quasi un sostituto (pur parziale) naturale, ma l’affidabilità americana risulta bassa anche per Johnson che pure ha fatto e fa molto per consolidare la special relationship transatlantica. E’ chiaro già da ora che Trump utilizzerà il suo potere contrattuale come un’arma anche con l’alleato britannico: il presidente americano conosce soltanto questo modello di relazione, e gli pare ancora più utile se intravvede un minimo di debolezza – o di disperazione – dall’altra parte. Se si mettono in fila le dichiarazioni di Washington sul “canale preferenziale” con Londra, il meccanismo è chiaro: due passi avanti e uno indietro, perché nulla con Trump è mai sicuro.

 
Tra i partner commerciali rilevanti, per il Regno Unito c’è naturalmente anche la Cina. Proprio come la cancelliera tedesca, Angela Merkel, Johnson non vuole rimanere schiacciato nel conflitto tra America e Cina, ma deve trovare un compromesso tra le esigenze commerciali e i princìpi democratici che il Regno Unito difende. L’equilibrismo non sta funzionando: i cinesi sono molto arrabbiati con Londra. Johnson ha invitato gli abitanti di Hong Kong “che si sentono minacciati” dalle misure messe in campo da Pechino per asfissiare la democrazia dell’ex colonia britannica ad andare nel Regno Unito: 350 mila abitanti di Hong Kong che hanno il passaporto internazionale inglese e 2,5 milioni che possono fare richiesta per averne uno avranno un visto di 12 mesi rinnovabili per lavorare nel Regno. La Cina ha già detto che Londra pagherà cara questa sua ingerenza, ma Johnson sembra sempre più orientato a spezzare la sfera d’influenza che la Cina costruisce a Hong Kong con la violenza e con il cosiddetto soft power nel resto del mondo. Le pressioni interne sono forti: la gestione opaca della pandemia ha convinto il governo inglese a diminuire la propria dipendenza dalla Cina nella costruzione di infrastrutture strategiche, a partire dal 5G.

 

Londra ha preso contatti con la compagnia giapponese Nec per diversificare rispetto alla cinese Huawei (che secondo il piano di governo dovrebbe provvedere al 35 per cento della costruzione del 5G) e l’obiettivo è quello di creare un sistema di aziende che possano sostituire il colosso cinese. Come si sa, la decisione a gennaio di allargare il mandato di Huawei aveva fatto imbestialire Trump, e questa diversificazione viene letta dai cinesi come una dichiarazione di alleanza con l’America nello scontro tra le due superpotenze. In realtà Johnson ambisce a trovare una sua posizione indipendente perché ha i problemi della Brexit e dell’accesso a nuovi mercati e perché l’assenza di leadership americana crea un vuoto che potrebbe essere riempito dal Regno Unito che va a caccia di un nuovo ruolo nel mondo. Anche per questo Johnson è stato molto deciso nel rimandare al mittente (Trump) la proposta di riammettere al G7 la Russia: per prendere in considerazione una riapertura, Mosca deve “porre fine alle sue attività aggressive e di destabilizzazione”.

  
Il Regno Unito sta cercando una sua nuova dimensione internazionale e in alcuni contesti è stato anche molto assertivo. E’ che poi c’è la Brexit che con la sua incertezza finisce per indebolire l’intera strategia: nelle relazioni, la disperazione non è quasi mai vantaggiosa.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi