Un combattente dell'unità 'Shelba' alleata del Gna, ferito durante i combattimenti di stamattina a Salahaddin, periferia sud di Tripoli (AP Photo/Ricard Garcia Vilanova, File)

Da Tripoli, le Nazioni Unite ci dicono come cambia il traffico dei migranti

Luca Gambardella

L'impatto del Covid-19, i bombardamenti sempre più intensi, l'aumento delle partenze dei barconi verso l'Italia. Parla Federico Soda, capo dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni in Libia

In Libia si assiste a una convergenza pericolosa tra crisi diverse: a quella umanitaria, causata da nove anni di combattimenti, si è aggiunta quella sanitaria innescata dal Covid-19. Una combinazione che in questi primi giorni di maggio sembra avere trovato sfogo nel nuovo aumento delle partenze dei migranti verso l’Italia, favorito anche dalle buone condizioni del mare. “Gli ultimi sbarchi dei migranti sulle coste italiane ci dicono che i mezzi usati per la traversata sono diversi dal solito. Invece dei gommoni, che spesso andavano in avaria poco dopo il limite della zona sar libica (search and rescue, ndr), si sono rivisti i barconi di legno”, spiega Federico Soda, capo missione in Libia dell’Organizzazione internazionale per l’Immigrazione, l’agenzia dell’Onu che monitora la situazione dei migranti. “Sono barche di una decina di metri e possono trasportate anche 100-150 persone per volta. Vuol dire che stiamo tornando ai sistemi usati anni fa”. Secondo Soda, i numeri degli sbarchi nei prossimi giorni sono destinati ad aumentare. Una tendenza che a maggio, di solito, è normale perché il mare è calmo. Stavolta però l’incremento potrebbe essere maggiore a causa di una tra le tante anomalie a cui di recente si assiste in Libia: “Ultimamente notiamo che la Guardia costiera libica è meno attenta. Se su cinque barconi ne viene intercettato solamente uno, questo è un cambiamento – dice Soda – Ma ricordiamoci che parliamo sempre di numeri molto più bassi rispetto a tre anni fa”.

 

 

Tra Lampedusa e le coste dell’agrigentino sono arrivate quasi 700 persone in pochi giorni e i sindaci lamentano una situazione ai limiti della sopportazione a causa del coronavirus. Per mettere tutti in quarantena lo stato ha già affittato dalla compagnia Tirrenia una nave – la Rubattino –, e un’altra è in arrivo, anche se finora i migranti arrivati in Italia e risultati positivi al tampone si contano sulle dita di una mano. Ma dall’altra parte del mare, a Tripoli, le testimonianze raccolte dal Foglio parlano di una situazione preoccupante, dove il governo minimizza l’impatto reale dell’epidemia, confermando appena 64 casi e 7 morti. “Qui, mancano i tamponi e semplicemente non si fanno – ci dice una fonte a Tripoli che chiede di restare anonima – C’è poi uno stigma nei confronti dei positivi. Spesso si dice alla gente di non fare i tamponi e di restarsene a casa. Ma qui i nuclei famigliari sono enormi e i rischi di contagio elevati”. Se la situazione è complessa per i libici, lo è ancora di più per i migranti nei centri di accoglienza. “Le loro condizioni sono gravi: mancano acqua potabile e cibo – dice Soda, che come capo missione dell’Oim ha accesso a un numero molto limitato di centri di detenzione – Si fa quello che si può ma ovviamente non si possono prendere le misure di prevenzione che ci sono in occidente”.

 

Ma, spiega ancora il funzionario, oltre al coronavirus è la guerra a rendere le condizioni di vita sempre più insostenibili: “I dati ci dicono che l’80 per cento dei migranti in Libia rimarrebbero qui a lavorare se potessero, invece di imbarcarsi per l’Europa. Sono convinto che soprattutto oggi il push factor dalla Libia sia molto più forte di eventuali pull factor dall’Europa. Si assiste a una convergenza di due fenomeni: la chiusura di attività commerciali per via del virus e, di conseguenza, l’aumento del numero di persone che cercano di partire per l’Europa spinte dal panico”. I bombardamenti del generale della Cirenaica Khalifa Haftar si spingono sempre di più verso il centro di Tripoli, fino al porto. La scorsa notte, il lancio dei missili di Haftar sulla capitale ha ucciso almeno tre persone, incluso un civile, e le esplosioni sono state avvertite anche vicino alle ambasciate di Italia e Turchia – tra le poche della capitale con un ambasciatore, ed entrambe appartenenti a paesi alleati del governo di unità nazionale di Fayez al Serraj. “Sarà un caso”, dice con tono ironico Soda che racconta come anche il personale dell’Oim sia stato coinvolto dai bombardamenti di stanotte. “Ho dovuto fare evacuare il personale che avevo inviato al porto per accogliere una motovedetta della Guardia costiera con 24 migranti a bordo. Appena hanno cominciato a piovere missili sul porto sono scappati tutti, anche la motovedetta. E non è la prima volta che si colpisce lo scalo di Tripoli proprio mentre il nostro personale assiste a uno sbarco”.

 

Ieri intanto è diventata operativa la missione aeronavale dell’Ue Irini, che è comandata proprio dall’Italia. Oltre all’embargo Onu sulle armi dirette in Libia, tre navi e tre aerei messi a disposizione da Italia, Francia, Grecia, Germania, Polonia, Lussemburgo e Malta dovranno sorvegliare anche sul traffico di esseri umani nel Mediterraneo. Ma la missione gemella di Sophia è nata in sordina, con scarse aspettative: “E’ evidente che dal punto di vista politico l’Ue non ha fatto passi avanti sul fronte dei migranti. E così oggi ci ritroviamo ad affrontare gli stessi problemi che fecero partire Mare Nostrum”. Da allora sono passati sei anni.

Di più su questi argomenti:
  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.