Una famiglia passeggia a Rodeo Drive, Beverly Hills, California (foto LaPresse)

Modello California

Daniele Raineri

Così la West Coast sveglia e innovativa se la cava meglio di New York e dei trumpiani arrabbiati

Nella “culture war” americana tra i trumpiani che per istinto si ribellano alle misure restrittive e i democratici che seguono l’approccio razionale alla lotta contro la pandemia, l’esempio positivo è la California. E’ stato uno dei primi stati a scoprire casi positivi di Covid-19, ha una popolazione enorme e una megalopoli come Los Angeles, è molto esposta al traffico internazionale – che porta contagiati – ma per ora è uno degli stati che se la cava meglio. E l’avanguardia di questo cavarsela meglio del resto degli Stati Uniti è San Francisco, dove la donna sindaco London Breed è stata la prima a intuire il pericolo e a ordinare misure di distanziamento sociale (è democratica e con un legame politico stretto a Kamala Harris, ex candidata nelle primarie democratiche). Quando a marzo ha deciso che non ci dovevano essere più assembramenti con più di mille persone ha messo in crisi la NBA, che poco dopo – anche per la scoperta del primo giocatore positivo – ha deciso di chiudere e ha trascinato tutti gli altri sport americani a fare lo stesso. Da gennaio Breed ha chiesto ai suoi specialisti di seguire la crisi a Wuhan e quando si è sentita dire che la stessa cosa sarebbe potuta succedere anche a San Francisco e che non ci sarebbe stato abbastanza posto per tutti negli ospedali è entrata in uno stato di allerta permanente. Ha spostato tutti gli uffici municipali in un centro molto più ampio dove si può lavorare senza stare a stretto contatto, ha obbligato tutti a mettere le mascherine e ha sfidato tutte le voci contrarie che chiedevano di non fermare la città per non danneggiare troppo gli affari. Il 17 marzo ha dato l’ordine di chiudere i negozi e ha dato il via alla fase “stay home” di San Francisco, quando in città c’erano meno di cinquanta casi confermati di coronavirus, e il governatore della California, Gavin Newsom, l’ha seguita pochi giorni dopo. Quel giorno, nota il sito della rivista Atlantic che le ha dedicato un lungo ritratto, a New York c’erano già duemila casi di coronavirus ma il sindaco Bill De Blasio e il governatore Andrew Cuomo hanno aspettato fino al 22 marzo per chiudere le scuole e per dare il via, con molta riluttanza, alla fase di isolamento sociale. I casi nel frattempo erano già diventati diecimila. Il risultato è che oggi tutti parlano di New York come di un caso catastrofico e nessuno di San Francisco e della California, dove la curva dei contagi è molto lenta e piatta.

 

 

La differenza tra la California e New York, le due grandi aree della costa dove gli elettori votano in maggioranza per i democratici complica l’immagine di un paese dove i trumpiani rifiutano in blocco le misure restrittive come un’offesa e i democratici cercano di affrontare la crisi con misure razionali. Inoltre nel ritratto dell’Atlantic c’è un passaggio interessante in cui gli esperti dicono che per ragioni geografiche a proteggere la California è stata anche la decisione dell’Amministrazione Trump di chiudere i voli dalla Cina a gennaio, mentre New York è rimasta più esposta all’ondata di contagio dall’Europa – che ha continuato ad arrivare sui voli che attraversavano l’Atlantico.

 

La California ha adottato alcune misure che suonano molto innovative nella lotta americana alla pandemia. C’è un programma pilota a San Francisco per creare un battaglione di tracciatori che si occuperà di parlare con i positivi al tampone e di ricostruire a ritroso tutti i loro contatti recenti, in modo da avvertirli e da chiedere loro di fare il tampone e, nel caso di mettersi in isolamento. E’ lo stesso compito che in molti paesi dovrebbe essere affidato in teoria a una app sui telefonini, ma in California e in alcuni altri stati pionieri hanno deciso che il contatto umano era meglio, perché la gente tenderà di più a fidarsi della procedura se c’è qualcuno che ti consiglia cosa fare – e non un programma sul telefonino. A San Francisco ci sono circa 250 persone coinvolte nel programma, ma il professore George Rutherford, un esperto in malattie infettive che lo dirige, dice che in California serviranno tra le 30 mila e le 40 mila persone. Suona come un’operazione costosa, avverte, ma l’alternativa è fare così oppure fermare l’economia. L’altra innovazione in California è un assegno di 500 dollari agli immigrati senza documenti, che non sono coperti dal piano nazionale di aiuti e assistenza. Lo scopo è non creare una parte invisibile della popolazione che continua a esporsi al contagio per sopravvivere oppure tenta metodi disperati.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)