Alcune persone a bordo di un tram a San Francisco lo scorso 15 marzo (foto LaPresse)

La California è come la Lombardia, non si capisce quanti sono gli infettati

Michele Masneri

Il déjà vu di San Francisco che nel 1900 venne colpita dalla peste, la spagnola del 1918 e l'“origine pestilenziale” di Stanford  

Non ci sono solo le spiagge inusitatamente vuote e il Golden Gate Bridge di San Francisco desolato. La California ai tempi del coronavirus ha qualcosa di italiano e molto di malinconico. C’è il déjà vu proprio di San Francisco: che nella sua storia è stata sottoposta a diverse ondate di influenza anche micidiale, ma la prima e più famosa fu la peste che scoppiò 120 anni fa, nel 1900, e che venne tenuta nascosta per oltre due anni. Il Governatore californiano di allora, Henry Gage, voleva evitare l’onta – in un momento in cui la West Coast americana cercava di rivaleggiare con New York. Si fecero sgomberi e si quarantinò tutta la popolazione cinese, ma poi fu il turno della micidiale ondata di spagnola del 1918.

 

L’impatto è diverso da nord a sud nello Stato più ricco e popoloso d’America mentre arriva l’altro virus cinese, come lo chiama il presidente Trump. A Nord, la Silicon Valley conta già 16 morti e 375 casi, come dichiarato dalla contea di Santa Clara che raduna le fondamentali cittadine di Palo Alto, Mountain View, Cupertino e Stanford. Qui, nel campus, sono 24 i positivi tra studenti e professori – tra l’altro Stanford ha origine pestilenziale: fu infatti fondata dall’omonima famiglia in memoria del rampollo Leland Stanford, stecchito dal tifo nel 1884 a Napoli, mentre come tutti i gentiluomini dabbene era impegnato nel grand tour europeo.

 

Però la Silicon Valley sta reagendo: Google, di base a Mountain View, si sta dando molto da fare tramite la sussidiaria Verily (nuovo nome della Google Life Science, divisione medica del gruppo). Sta infatti mettendo in atto un protocollo innovativo e completamente automatico per testare i cittadini fuori dagli ospedali, seguendo in questo l’approccio sudcoreano, ma, in questo coerente con la cultura della valle, lo fa in garage, in capannoni in cui si entra appunto in macchina, si viene testati senza contatti con l’esterno, in macchina, e tutto il processo è automatizzato e gratuito. Basta iscriversi sul sito, compilare un form, e un piccolo questionario – è il capitalismo di sorveglianza, bellezza! - e andare con la macchina a uno dei centri (ma per il momento le richieste sono esaurite dato il prevedibile boom di iscrizioni).

Scendendo a sud, meno inventiva e più preoccupazione. Undici morti e 662 infetti è per ora il conteggio della contea di Los Angeles. Anche, qui, il record triste del più giovane contagiato d’America, un minorenne (ma in generale, in California, l’età media del contagio è molto bassa, la metà ha meno di 50 anni). In generale però anche col coronavirus la California sembra assomigliare a una Lombardia americana. E’ infatti non solo lo stato più ricco e popoloso ma ha anche da sempre tentazioni scissioniste. Se Lombard Street è uno degli stradoni più pittoreschi e scoscesi di San Francisco, le similitudini con questi giorni sono più tristi: secondo il Los Angeles Times infatti la California starebbe prendendo una via molto discutibile e “lombarda” nell’affrontare l’epidemia.

 

Stando ai dati di domenica scorsa, i test effettuati sui californiani sarebbero pochissimi; solo 26.400 su una popolazione di 40 milioni. In confronto New York vede 78 mila tamponi su una popolazione della metà. Inoltre il sistema sanitario, che pure è molto meglio di quelli di altri stati, è in preda a generale disorganizzazione. “E’ come un’orchestra senza direttore”, scrive il LA Times (tra l’altro rilevato da poco da un medico-scienziato cinese, Patrick Soon-Shiong). C’è confusione tra sanitari a livello comunale, regionale e statale: a Los Angeles ci sono 22 laboratori pubblici, 7 ospedali e 2 ambulatori privati che stanno effettuando test, e non si parlano tra loro. Il risultato è che non si riesce a capire quanti siano gli infettati. Il Governatore Gavin Newsom ha detto che è difficile mettere insieme tutti i dati, e che ci sarebbero molti test non compresi nei 26.400 dei conteggi ufficiali. Pare insomma che il dato dell’intera California con 2.600 positivi e solo 55 morti sia un po’ ottimistico. Intanto il sindaco di Los Angeles, che ha già chiuso tutto, negozi non strategici e chiese comprese, minaccia di ricorrere a misure più drastiche con chi non sta rispettando il lockdown: di staccargli cioè l’acqua e l’elettricità.

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