foto LaPresse

Pillole di ottimismo su quando tutto finirà

Claudio Cerasa

Non è semplice capire il confine tra pensieri ottimistici e irrealistici. Ma se la matematica ha un senso e la disciplina italiana continuerà a essere forte vale la pena leggere questo studio, che dice che tra un mese rivedremo un po’ di luce

Nicholas Kristof è un formidabile editorialista del New York Times e da tempo ha creato attorno a sé una solida comunità di lettori abituata a leggere le sue column per tentare di guardare al futuro senza farsi travolgere dal pensiero unico catastrofista. Guardare al futuro oggi, ai tempi del coronavirus, senza farsi travolgere dal catastrofismo non è semplice, ma anche in queste ore Kristof – come nel suo piccolo questo giornale – sta cercando di ragionare attorno al tema del virus letale provando a valorizzare ogni soffio di luce che talvolta si intravede alla fine del tunnel. Pochi giorni fa, in una column sul Times, Kristof, dopo aver parlato a lungo con medici di primo piano del suo paese, ha tentato un esperimento che vale la pena provare anche in Italia e ha offerto ai lettori due scenari per orientarsi sul futuro: uno molto pessimistico e uno molto ottimistico.

 

Quello pessimistico, relativamente all’America, prevede uno scenario da incubo, con più di due milioni di americani morti per il coronavirus, con milioni di persone in ospedale morte con patologie non gravi ma divenute gravi a causa del collasso del sistema sanitario, con un vaccino che tarda ad arrivare e molte altre disgrazie. Quello ottimistico, invece, che è quello che più ci interessa e che ci permette di arrivare a una storia niente male che riguarda l’Italia, ci offre un mondo del tutto diverso, in cui la vita tornerà normale già durante l’estate, in cui l’economia rimbalzerà come una molla alla fine del lockdown, in cui il clima caldo contribuirà a ridurre le infezioni, in cui le mutazioni del virus attenueranno l’impatto del contagio, in cui i farmaci dimostreranno di essere efficaci prima del previsto e in cui sarà sufficiente aspettare la prossima primavera per dimenticare la vita di questi giorni. E’ uno scenario ottimistico, da sogno, che ci permette di considerare quasi come una luce accecante quel piccolo bagliore che vediamo alla fine del tunnel, ma è uno scenario che per essere in qualche modo credibile anche nel nostro paese ha bisogno di qualcosa in più, di qualcosa di più concreto, di una semplice column di un grande e informato editorialista americano e quel qualcosa in più, per vivere la nostra quarantena con un po’ di speranza, ci arriva da un grafico, finora profetico, realizzato da una brava ricercatrice italiana di nome Silvia Merler, che lavora per Algebris con Davide Serra, che da qualche settimana ha tentato un esperimento. Prima ha messo in correlazione i risultati ottenuti con il lockdown in una città che ha gli stessi abitanti della Lombardia (la città cinese di Wuhan ha 11 milioni di persone, come la Lombardia). Poi ha ripetuto la stessa operazione con i risultati ottenuti con il lockdown in una regione che ha gli stessi abitanti dell’Italia (la regione cinese di Hubei ha 60 milioni di abitanti, come l’Italia).

 

 

In seguito – sulla base naturalmente dei dati disponibili che saranno parziali, essendo la Cina una dittatura che ha scarso interesse ad avvicinare su se stessa troppe lenti di ingrandimento – ha messo a confronto le progressioni dei contagi tra la Cina e l’Italia prima e dopo il lockdown e dopo aver notato una impressionante simmetria nello sviluppo della malattia ha compiuto un’ultima operazione e ha creato un grafico che ci permette di dire quando quella luce in fondo al tunnel potrebbe essere meno pallida rispetto a oggi. L’operazione è questa ed è riassunta nel grafico che trovate qui a fianco: Merler ha individuato un trend a forma di S che è quello che segue il numero di contagi totale del nostro paese e sulla base dell’esperienza cinese aveva immaginato, incrociando il primo asse relativo ai contagi totali con un altro asse relativo ai nuovi contagi quotidiani, in quanto tempo gli effetti del lockdown avrebbero potuto dare una speranza all’Italia. Sulla base di quelle proiezioni, la decrescita dei nuovi contagi si sarebbe dovuta realizzare proprio in questi giorni, tra il 23 marzo e il 26 marzo, cosa che in effetti sta accadendo, e sulla base dei numeri cinesi, che valgono quello che valgono ma che sono gli unici numeri che possiamo utilizzare, potremmo dire che se la decrescita dei nuovi contagi dovesse essere costante e coerente si dovrebbe arrivare a zero nuovi contagi tra il 21 e il 30 aprile.

 

In Cina, un paese che non garantendo la libertà ai suoi cittadini ha meno difficoltà di altri a limitare ancora di più le libertà, i primi risultati sono arrivati a venti giorni dal lockdown. In Italia i primi provvedimenti restrittivi sono stati approvati il primo marzo, la chiusura delle scuole è stata decisa il 4, la creazione di un’unica area arancione in tutto il paese l’8 marzo e in un modo o in un altro ci stiamo a poco a poco avvicinando ai venti giorni canonici in cui accanto ai sentimenti della paura dovrebbero essere affiancate anche le ragioni della speranza. Giuseppe Conte, martedì sera, ha smentito uno scenario piuttosto pessimistico, in base al quale, secondo voci incontrollate che si erano diffuse durante la giornata, la quarantena dell’Italia sarebbe dovuta durare fino al 31 luglio. Oggi non è semplice capire qual è il confine tra un pensiero ottimistico e uno irrealistico (e sulla veridicità dei dati sui contagi leggete Bucci in prima pagina), ma se la matematica ha un senso e la disciplina dell’Italia continuerà a essere simile a quella vista finora chissà che la previsione di fine aprile sia qualcosa in più di una semplice speranza.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.