Il presidente americano Donald Trump (foto LaPresse)

Arriva il Deep State

Daniele Raineri

Nel governo americano troppa gente gioca a fare la “Resistenza” contro Trump. Un vantaggio per lui

Roma. Il presidente americano, Donald Trump, usa molto spesso l’espressione Deep State, che è un termine preso in prestito dai siti complottisti per indicare un non meglio specificato gruppo segreto che si anniderebbe all’interno dell’Amministrazione americana e prenderebbe le decisioni che contano alle spalle dei presidenti. Deep, profondo, alluderebbe proprio a questa profondità tra le pieghe della macchina governativa che lo rende introvabile e misterioso. Il Deep State nei tweet di Trump è diventato l’equivalente del cane che ha mangiato il compito, una scusa sfacciata tirata in ballo spesso e volentieri per coprire altro. Adesso però, mentre siamo quasi arrivati al quarto anno di mandato, il Deep State americano si sta materializzando sul serio e in forme bizzarre. Se continua così, c’è il rischio forte di dare molti spunti buoni alla propaganda di Trump. Fra dieci giorni esce “A Warning”, un libro scritto da Anonimo, che è la stessa persona che nel settembre dell’anno scorso pubblicò un editoriale in cui raccontava di fare parte della “Resistenza”, una fazione clandestina di funzionari della Casa Bianca che tentava di tenere sotto controllo gli impulsi più erratici di Trump. Nel libro, secondo le anticipazioni molto generose che ieri erano sulla homepage sia del New York Times sia del Washington Post, Anonimo scrive che la Resistenza ha fallito. L’idea che “gli adulti nella stanza” potessero in qualche modo temperare e condizionare le decisioni del presidente si è rivelata un’illusione. I funzionari più alti in grado si svegliano al mattino in preda al panico perché sanno che Trump avrà già fatto qualche dichiarazione folle su Twitter. “E’ come andare all’ospizio a visitare un vecchio zio e trovarlo senza pantaloni che corre nel giardino e grida maledizioni contro il cibo della mensa, mentre infermieri preoccupati tentano di acciuffarlo”.

 

“Sei sbalordito e imbarazzato allo stesso tempo. Soltanto che probabilmente lo zio non lo fa tutti i giorni, le sue parole non sono trasmesse al pubblico e non deve dirigere il governo americano quando si rimette i pantaloni”. Anonimo scrive tra le altre cose che Trump teme un golpe contro di lui ed è molto sospettoso di quelli nel suo staff che prendono note. Una volta ha gridato a un suo aiutante che stava prendendo note durante un incontro: “Che cazzo fai? Stai prendendo dei cazzo di appunti?”. L’aiutante si è scusato e ha chiuso il quaderno. Il libro è tutto così, un aneddoto terrificante dopo l’altro – senz’altra pretesa di credibilità che la parola di Anonimo, la cui identità resterà segreta. Il titolo del libro è “A Warning”, un avvertimento, scrive lui, perché gli elettori a questo punto devono essere avvertiti: non votate Trump alle prossime elezioni. L’operazione è grossolana. Di libri che raccontano quanto è disfunzionale l’Amministrazione Trump ce ne sono già tanti, questo è di un anonimo che sostiene di lavorare per lui – o meglio alle sue spalle. E’ manna dal cielo per un presidente che nel giro di un anno dovrà regolare i conti con gli elettori.

 

Mercoledì 6 novembre il dipartimento di stato ha tenuto un briefing ai giornalisti sulle operazioni americane in Siria. Il funzionario (anonimo perché questa era una delle condizioni del briefing) ha spiegato che gli obiettivi dell’America in Siria restano gli stessi: combattere lo Stato islamico, sradicare l’Iran e negoziare una soluzione politica con il regime di Assad. I reporter hanno fatto presente che erano gli stessi obiettivi dichiarati prima che Trump desse l’ordine di ritiro dei soldati americani dalla Siria e il funzionario ha ammesso candidamente che non cambia nulla. “Ora che ci penso: era una cosa intelligente da dire qui?”, ride. E’ tutto nella trascrizione pubblicata sul sito del dipartimento di stato. Il 26 ottobre il Washington Post ha citato fonti del Pentagono che spiegano come hanno fatto a convincere Trump a mandare soldati americani in Siria dopo che aveva ordinato il ritiro totale: dicendogli che vanno a prendere i pozzi di petrolio. Il risultato è che quando Trump è arrivato alla Casa Bianca c’erano circa cinquecento soldati americani in Siria e adesso, dopo il presunto “ritiro”, ce ne sono quasi il doppio. Il meccanismo esecutivo della nazione più potente del mondo prevede che il presidente prende le decisioni e la macchina governativa esegue. Nel bene e nel male, è così che deve funzionare. Ora questo meccanismo dà segni di cedimento – e i trumpiani che vivono di paranoie chiameranno questa cosa Deep State. Era una scemenza complottista, ora pubblica persino libri e diventa una scusa perfetta.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)