Michael Bloomberg (foto LaPresse)

Ricco e più ricco

Biden non convince, si scalda Bloomberg. Ma la domanda resta: chi lo batte, Trump?

Paola Peduzzi

L’ex sindaco miliardario s’affaccia sulla campagna elettorale americana (con un “whatever it takes”), ma non fa felice nessuno

Milano. S’affaccia Michael Bloomberg sulla campagna elettorale americana e subito: ce n’era bisogno? S’è alzato un coro di “no”, il campo democratico è già affollato, un settantasettenne miliardario (52 miliardi di dollari, secondo Forbes) della costa est non serve, poi Bloomberg aveva detto a marzo che non si sarebbe candidato, che senso ha cambiare idea adesso? Ma i suoi fanno sapere che l’ex sindaco di New York è pronto a fare di tutto per sconfiggere Donald Trump, “whatever it takes”, hanno detto proprio così, “sarà una campagna come non ne avete mai viste”. Bloomberg farà sapere “presto” la sua decisione ultima, distribuisce agli amici la sua biografia, le sue “tante vite”, ed è preoccupato della piega che stanno prendendo le candidature del Partito democratico: vede debolezze ovunque, e la sua offerta pragmatica di uomo d’affari che s’è fatto da sé, combattivo sul clima e sulle armi, multilateralista per vocazione, gli pare non soltanto necessaria, ma urgente. A marzo, quando aveva annunciato di non volersi candidare, considerava l’ex vicepresidente Joe Biden molto forte, guardiano affidabile del centrismo moderato, ma ora Biden, che pure è davanti nei sondaggi, appare più fragile – l’Ucrainagate non ha aiutato. Soprattutto sembrano sempre più forti i due radicali, Elizabeth Warren e Bernie Sanders, più lei che lui, che insidiano Biden e che hanno irriso i rumors su Bloomberg: hai paura di noi e fai bene, i ricchi come te non hanno futuro. L’ipotesi dell’ingresso di Bloomberg nelle primarie ha approfondito lo scontro interno ai democratici. 

 

Non si tratta di un conflitto esclusivamente americano, riguarda tutte le sinistre occidentali ed è lo stesso da tanto tempo: si sta al centro o si va a sinistra? E soprattutto: il trumpismo lo batti più dal centro o più da sinistra? L’establishment del Partito democratico punta a conservare il centro riformatore, fa il tifo per Biden e prova a controbilanciare la spinta che arriva dai più radicali, una spinta forte, sempre più grossa, sempre più giovane (anche se la gioventù in questa corsa di ultrasettantenni è invero poco rappresentata), sempre più precisa. Era iniziata nel 2016 con Bernie Sanders e ora sembra che il testimone sia passato a Elizabeth Warren, che non soltanto è brava e competente, ma sta pure andando oltre il sandersismo: con la tassa sulla ricchezza (messa a punto da un allievo di Thomas Piketty, Gabriel Zucman, e da un altro franco-americano, Emmanuel Saez, autori di “The Triumph of Injustice”, un libro che racconta come i ricchi si sono presi il mondo, e soprattutto come fargliela pagare) e con un “Medicare for all” che elimina tutte le coperture sanitarie, comprese quelle dei datori di lavoro e quelle private, per farne una soltanto, gestita dallo stato. Poi lotta durissima contro la dittatura dei social media, la Warren, e questa sembra la più giusta delle battaglie per la salvaguardia della democrazia.

 

I centristi tremano, Bloomberg dà voce a questa paura: qui si rischia di stravolgere l’idea del progressismo e pure del futuro dell’America, e magari non si vince neppure contro Trump (forse un ricco democratico se lo augura pure, in fondo al cuore, che un’offerta del genere non vada al potere). John F. Harris, uno dei fondatori del sito Politico, ha scritto un articolo interessante in cui denuncia il pregiudizio centrista (che è anche il suo): perché, in una contesa contro Trump, i democratici dovrebbero essere cauti e posati? Perché dovrebbero continuare a considerare la politica come un processo razionalissimo e ordinatissimo, invece che provare la controrivoluzione? Harris cita Abramo Lincoln e Ronald Reagan come esempi di una politica che non si accontenta di conservare un approccio pacato e moderato ma che si muove per rivoluzionare: il pregiudizio centrista domina l’establishment, ma se lo superassimo? La proposta non risolve la domanda principale, quella che ancora non ha risposta: poi così si vince? Per quanto possa sembrare assurdo, Bloomberg che si affaccia sulla campagna elettorale infastidisce molti, ma soprattutto Trump. Non per ragioni di politica, ma per quello che rappresenta. Chris Cillizza della Cnn sintetizza così il messaggio di Bloomberg: sono un businessman, come l’attuale presidente. Solo che ho avuto molto più successo, sono molto più sano di mente e pure molto più ricco. Chissà Trump.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi