Olaf Scholz e Angela Merkel (foto LaPresse)

L'Spd dubbioso sulla grande coalizione sceglie il nuovo leader

Paola Peduzzi

Vogliamo ancora stare con la Merkel? I socialdemocratici tedeschi al tracollo cercano una guida per darsi una risposta

Milano. I socialdemocratici tedeschi non riescono a trovare una via d’uscita ai loro tormenti: vorrebbero spezzare la (grande) coalizione con i cristianodemocratici ma continuare a governare. Un paradosso – l’Spd è partner di minoranza nell’alleanza di governo con cristianodemocratici e cristiano-sociali (Cdu/Csu) – che alcuni pensano di risolvere così: se usciamo dal governo, recuperiamo i voti persi, perché i voti persi (che sono tantissimi) sono determinati dall’alleanza con il centrodestra. La scommessa è chiaramente rischiosa, ma molti nell’Spd continuano a considerare la partnership con Angela Merkel scomoda in modo irrimediabile. L’infelicità della socialdemocrazia tedesca è visibile a occhio nudo: alle elezioni europee di maggio, l’ultima volta che ci si è contati, l’Spd ha ottenuto il 13 per cento dei consensi, superata dai Verdi, se la gioca con l’estrema destra dell’AfD. Rinunciare al governo in queste condizioni pare un suicidio, ma buona parte dei tesserati, in particolare l’ala giovanile, pensa che più in basso di così non si possa andare, e allora tanto vale consumare il divorzio subito, e poi riarredare casa lontani dalla Merkel.

 

Questa sera ci sarà il risultato della votazione dei membri del partito per la leadership, la prima misura dell’infelicità dell’Spd. Il candidato favorito è l’argine alla rottura con la Cdu: Olaf Scholz, vicecancelliere, ministro dell’Economia, sessantenne di grande esperienza e di poco carisma che antepone la mente al cuore. Nella stagione dell’emotività e dei leader dal sangue caldissimo, Scholz punta su razionalità e calma, recupera l’approccio della Merkel (!) e come lei dice: “Mi conoscete”. Poi aggiunge un attestato di fedeltà: “E sono ancora un socialdemocratico”.

 

In questa contesa Scholz si gioca tutto, e pure la tenuta della grande coalizione è appesa a lui. Al momento è dato per favorito tra i 426 mila tesserati, ma non supera il 50 per cento dei consensi che lo porterebbero dritto alla conferenza dell’Spd di dicembre: il ballottaggio sembra probabile. Uno dei suoi principali rivali, il semisconosciuto Norbert Walter-Borjans che però viene dal popoloso Nordreno Westfalia, dice che la tanto elogiata razionalità di Scholz non è altro che opportunismo, e l’esperienza dentro al partito lo rende il primo responsabile del collasso socialdemocratico. Walter-Borjans, che ha un’aria affabile ma toni infuocati e fa impazzire i più giovani, ripete che “gli autisti dell’autobus Spd”, quindi Scholz, “hanno preso la curva sbagliata” e sono finiti nelle “pampas neoliberali”: è lì che è iniziato il declino del partito e la classe lavoratrice, stordita dal zig-zag del suo partito di riferimento, ha scelto di disertarlo. Scappare dalle pampas neoliberali significa prima di tutto lasciare la grande coalizione, tornare dove e come si era prima della sbornia schröderiana e merkeliana, tassare i ricchi e smetterla di strangolarsi da soli con il rigore dei conti. 

 

Ovunque si guardi, su questo bivio si ritrovano tutte le sinistre occidentali. Scholz, avvocato del lavoro con una grande sensibilità per il sociale, è convinto di poter imporre la sua visione meno rigorista più stando dentro alla coalizione con la Merkel che uscendo sbattendo la porta, e fa anche un calcolo personale: governiamo fino al 2021 insieme e sfidiamoci apertamente in quel momento, quando anche la Cdu non sarà forte come è stata finora. La Merkel è al suo ultimo mandato, la sua delfina, l’attuale ministro della Difesa Annegret Kramp-Karrembauer, è sempre più appannata, non appare più come la candidata naturale dei cristianodemocratici alla Cancelleria. Allora, da leader di partito e ministro di governo, Scholz potrebbe avere un’occasione. Ma ci deve arrivare, e ci deve arrivare intero e popolare, cosa non scontata in un partito che ha cambiato dieci leader in quindici anni e che della razionalità non se ne vuole fare più nulla: vuole il cuore, ma non sa dove ritrovarlo.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi