Saskia Esken e Norbert Walter-Borjans, i nuovi leader dell'Spd (LaPresse)

Allora regge, la Grande coalizione

Daniel Mosseri

L’Spd tedesca si dà una leadership anti Merkel ma poi sceglie di continuare a stare al governo con la Merkel. Gli obiettivi raggiunti dell’alleanza e quello che c’è da fare

Le premesse per una crisi di governo non mancavano: un vicecancelliere e ministro delle Finanze (Olaf Scholz) bocciato personalmente e politicamente dal proprio partito; una base socialdemocratica ampiamente delusa da sei anni consecutivi di grande coalizione; l’elezione alla co-presidenza della Spd di due attempati esponenti della sinistra interna (Saskia Esken e Norbert Walter-Borjans, per gli amici Nowabo).

 

 

 

Il congresso della Spd lo scorso fine settimana a Berlino si è invece concluso senza troppi strattoni per la Große Koalition guidata dalla cancelliera Angela Merkel. Certo, forti di essersi imposto su Olaf Scholz e la sua compagna di viaggio Klara Geywitz, Esken e Nowabo hanno fatto la voce grossa davanti al congresso di Berlino che aveva appena ratificato la loro elezione decretata dal voto postale degli iscritti al partito.

 

Il nuovo duo presidenziale non può però contare su un sostegno bulgaro da parte dei compagni socialdemocratici: al primo turno fra gli iscritti, Esken e Nowabo hanno preso il 21 per cento dei voti contro il 22,7 per cento di Scholz e Geywitz, battuti solo al ballottaggio. Fra i delegati, Esken ha ottenuto il 75per cento dei voti Nowabo l’89 per cento; numeri che li hanno indotti a miti consigli. Senza alzare troppo la voce, i nuovi co-presidenti non hanno dunque decretato l’uscita della Spd dall’alleanza di governo con i moderati, stilando invece una lista di desiderata socialdemocratici ritenuti necessari per continuare l’esperienza di governo fino alla fine naturale legislatura (a ottobre 2021).

 

Investimenti: la Spd chiede la fine della politica dello schwarze Null (rigore assoluto, nessuna spesa in deficit) sul quale si è assestato Olaf Scholz, in linea con il suo predecessore targato Cdu, Wolfgang Schäuble. Traduzione: investimenti nelle infrastrutture locali per 2.2 miliardi all’anno da qua al 2025 e la cancellazione del debito per le amministrazioni locali vicine alla bancarotta. Clima: più tasse sulle emissioni di CO2 e sovvenzioni per l’aumento della bolletta elettrica dei privati, ma anche più aiuti per le zone in cui è state decretata l’uscita dal carbone. Welfare: aumentare il salario minimo legale dagli attuali 9,19 euro a 12 euro l’ora, riformare il sussidio per i disoccupati cronici, investire 2 miliardi all’anno almeno fino al 2022 a favore di maternità e infanzia.

 

Per voce della sua presidente (e ministra della Difesa con un bilancio in crescita) Annegret Kramp-Karrenbauer, la Cdu ha già detto di no. “La Spd non può usare il governo come terapia per il suo declino politico”, ha detto Akk alla Bild definendo gli alleati socialdemocratici degli egoisti più interessati al partito che alla Germania. Vuol dire che la Große Koalition è arrivata al capolinea? No. Perché la Spd annaspa al 12 per cento nei sondaggi – venti anni fa sfiorava il 40 per cento – e non ha alcun interesse a portare il paese a elezioni anticipate. Elezioni che peraltro il presidente federale Frank-Walter Steinmeier difficilmente avallerebbe: il 1 dicembre 2020 la Germania assumerà per sei mesi la presidenza di turno dell’Ue e Berlino deve presentarsi all’appuntamento con un esecutivo solido. Neanche la Cdu sarebbe pronta alle elezioni: Akk non convince gli elettori e la scelta del prossimo candidato cancelliere del fronte moderato è stata rimandata a fine 2020.

 

 

Il no di Akk vuol dire allora che i ministri di Merkel continueranno a litigare e la Spd non avrà nulla di ciò che chiede? Neppure. Il gioco delle parti impone ai moderati di rispondere picche ma basta guardare a Bruxelles per vedere che un’altra leader tedesca già delfina di Angela Merkel si è appena insediata alla Commissione Ue promettendo un generoso piano di investimenti per pungolare un’economia europea in rallentamento. Anche l’industria tedesca, complice la Cina che importa di meno, sta perdendo colpi. Se la moderata Ursula von der Leyen prevede di spendere 1000 miliardi di euro per avere una Ue più verde e sostenibile, perché non chiedere alla Cdu a Berlino di fare lo stesso, hanno pensato a casa Spd. Punzecchiarsi sì, divorziare no: a breve termine la fine dell’esperienza di governo non giova proprio a nessuno.

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