Íñigo Errejón (Foto LaPresse)

Un nuovo arrivato a sinistra riaccende l'ennesima campagna elettorale spagnola

Guido De Franceschi

Per non regalare a Errejón gli elettori già perplessi per il ritorno alle urne, Sánchez e Iglesias avranno bisogno di un nuovo copione e di una nuova strategia

Milano. Ormai ci si era rassegnati. La campagna elettorale spagnola per le elezioni del 10 novembre sarebbe stata la stanca ripetizione di quella dello scorso aprile, cioè un déjà-vu che neppure il rancore reciproco per il mancato accordo di governo tra il socialista Pedro Sánchez e il leader di Podemos Pablo Iglesias avrebbe saputo ravvivare. E invece, come ha detto il politologo Pablo Simón in una videointervista al País, “senza dubbio la candidatura di Íñigo Errejón ha cambiato il ritmo della campagna elettorale”. Ed è proprio questa la vera notizia. Infatti, già nelle poche ore intercorse tra i primi rumors e l’annuncio ufficiale della candidatura, l’ascesa alla competizione politica nazionale di Errejón e della sua piattaforma locale Más Madrid (“Più Madrid”) tempestivamente promossa a Más País (“Più Paese”) ha dato una tale scossa ai sismografi impigriti dell’analisi politica spagnola – è la quarta tornata di elezioni politiche in quattro anni! – che il contraccolpo creato dall’accelerazione bruciapneumatici di Errejón potrebbe rivelarsi rilevantissimo, se non determinante, anche qualora, al dunque, e cioè nel conteggio dei voti il 10 novembre, la sua nuova creatura politica si rivelasse una bolla gonfiatasi nell’atmosfera protetta del microcosmo mediatico e poi scoppiata nel mondo reale. Perché ora tutti gli altri, quelli che già erano in campagna elettorale – e soprattutto Sánchez e Iglesias – dovranno comunque stracciare gli appunti per i discorsi già preparati, abbandonare le pratiche di scrittura automatica di slogan, ricalibrare i meme propagandistici da insufflare nei potenziali elettori.

 

Quello che sembra essere successo in poche ore in realtà si preparava da molti mesi. Íñigo Errejón, riconosciuta fama di cervellone al netto di tutte le venezuelanate da assemblea del liceo okkupato, è stato uno dei creatori di Podemos assieme a Pablo Iglesias. Lui, visto che si capiva fin da subito che il capo di Podemos era Iglesias, pensava a una diarchia. Iglesias, visto che si capiva fin da subito che il capo di Podemos non era Errejón, a una diarchia non ci pensava proprio. Quindi ecco il logoramento dei rapporti e l’inevitabile rottura, avvenuta all’inizio di quest’anno intorno alla strategia da tenere nelle elezioni regionali di Madrid, in cui Errejón guidò Más Madrid, una piattaforma creata in accordo con la sindaca uscente della capitale, Manuela Carmena, e Podemos conservò la sua lista. Risultato, in quelle elezioni: Más Madrid poco meno del 15 per cento dei voti, Podemos poco più del 5.

 

Ora, dopo che i socialisti e Podemos – per la contrapposizione tra il “governo di coalizione o morte” di Iglesias e l’“appoggio esterno o di nuovo elezioni” di Sánchez, ma soprattutto per la scarsa empatia personale tra i due – non hanno trovato un accordo per formare un governo, che pure era a portata di mano, l’offerta agli elettori di Errejón è semplicissima: noi siamo quelli che, pur a sinistra del Psoe, siamo pronti a discutere ragionevolemente di accordi senza fare il muro contro muro. Il suo bacino potenziale di voti è notevole: si estende tra Podemos e il Psoe e forse allunga un suo ramo fino alle spiagge di Ciudadanos, affollate di elettori in cerca di una barca perché sono confusi dall’incomprensibile strategia del leader, l’ex homo novus Albert Rivera. Quello a cui si rivolge Errejón è un tipo di elettore che coincide più o meno con quello che in altri paesi europei sta votando per i Verdi – e peraltro negli anni Ottanta il padre di Errejón, ma vale soltanto come nota di colore, fu tra i fondatori dei ben poco fortunati Verdes spagnoli.

 

La comparsa di Más País rende più simmetrico il panorama politico: una tripletta a destra (Partito popolare, Ciudadanos e Vox) e una tripletta a sinistra (Psoe, Podemos e, appunto, Más País). Ma mentre nell’aprile scorso la concorrenza a destra non ha saputo conformarsi al sistema elettorale spagnolo e ha finito per far perdere seggi ai tre partiti che sembrano perseverare nell’errore, sembra che Más País utilizzerà una strategia più furba, presentandosi soltanto nei collegi che distribuiscono più seggi e in cui potrà essere davvero una candidatura competitiva, con l’obiettivo di sottrarre sì seggi a Podemos, al Psoe e a Ciudadanos, ma senza sottrarne a una potenziale maggioranza postelettorale. L’impresa è difficile. Eppure il cambio di ritmo è già una realtà: per non regalare a Errejón plotoni di elettori già assai perplessi per il ritorno alle urne, Sánchez e Iglesias non potranno attenersi al noiosissimo copione già scritto del pappappèro (“E’ stato lui a non volere l’accordo” / “No, è stato lui”), ma dovranno inventarsi qualcosa di meglio. E ora la campagna elettorale è iniziata davvero.