Putin vuole ratificare l'accordo di Parigi. Il suo tatticismo verde ha tre ragioni

Micol Flammini

La Russia è il quarto paese al mondo per emissioni di anidride carbonica e fino a qualche mese fa non aveva intenzione di firmare. Ma la battaglia verde è il nuovo fronte divisivo e l’ambientalismo può offrire delle opportunità politiche

Roma. Alla firma dell’accordo sul clima nel 2015, Vladimir Putin era rimasto scettico e si era tenuto ben lontano da quei documenti con i quali i leader di tutto il mondo cercavano di trovare una soluzione al riscaldamento della Terra. I collaboratori del presidente russo avevano definito l’insieme di soluzioni estremiste e, in diverse occasioni, il capo del Cremlino aveva detto che sì, esiste il cambiamento climatico e che no, l’uomo non può farci assolutamente nulla. Ieri il primo ministro russo, Dmitri Medvedev, ha invece firmato una risoluzione per ratificare l’accordo di Parigi. Lo ha detto all’agenzia Interfax aggiungendo che “la minaccia dei cambiamenti climatici potrebbe compromettere l’equilibrio ambientale, mettere a rischio lo sviluppo e il successo di molti settori chiave come l’agricoltura e, soprattutto, la sicurezza della nostra gente che vive sul permafrost” e per questo la Russia non può tirarsi indietro. Vladimir Putin è a capo del quarto paese al mondo per emissioni di anidride carbonica e fino a qualche mese fa non aveva intenzione di firmare l’accordo, ma come in tutto il resto del mondo, non fa eccezione l’Unione europea, la battaglia verde è il nuovo fronte divisivo e l’ambientalismo può offrire delle possibilità e sono queste possibilità che il presidente russo ha preso in considerazione quando ha deciso di ratificare l’accordo tramite un ordine del governo anziché attraverso il voto dei parlamentari.

  

Nella Duma i deputati che si oppongono all’accordo di Parigi sono tanti, tra di loro ci sono molti oligarchi, proprietari di aziende che lavorano metalli o che si occupano di energia e che, come scrive Bloomberg, non avrebbero di certo appoggiato la decisione del Cremlino. Ma Putin ha le sue buone ragioni, che sono pragmatiche, tattiche e confermano che anche in Russia l’ambientalismo può rappresentare un’opportunità politica. Quando nel 2017 Donald Trump aveva minacciato che gli Stati Uniti sarebbero usciti dagli accordi sul clima, Putin aveva anche sostenuto e incoraggiato l’idea dell’omologo americano, dicendo che Trump aveva ragione, il trattato di Parigi era un guaio per gli affari e anche una bufala. Ma in questi due anni sono cambiate molte cose ed è cambiata anche la Russia, che rispetto al 2017 è più incline a fare i conti con la le sue difficoltà, ha capito che gli amici che pensava di avere sono molti di meno – lezione amara appresa di recente con la caduta di alcuni dei più russofili sovranisti europei – ha capito anche che se vuole ricominciare a contare deve uscire dal suo isolamento che è doppio: finanziario e politico. Parlare di clima può aiutare, soprattutto ora che i governi di tutto il mondo cercano di promuovere il commercio verde e presto, scrive Bloomberg, le esportazioni russe verranno tassate dai mercati se non seguono l’esempio degli altri paesi. Queste tasse si aggiungerebbero alle sanzioni che i paesi occidentali hanno imposto alla Russia a partire dal 2014. Ma è anche una questione ideologica: mostrare, soprattutto all’Europa, che la Russia in questa battaglia verde c’è e partecipa. Anzi, Putin ha fatto di più, ha messo a lavoro équipe di scienziati per dimostrare che la Russia è tra i paesi più colpiti dal riscaldamento del pianeta con le temperature in aumento di 2,5 volte la media globale.

  

Firmando l’accordo di Parigi, Mosca non guarda soltanto ai paesi europei, ma anche alla fascia di popolazione che più si interessa, si anima, si preoccupa e si intesta la battaglia verde: i giovani, gli stessi che hanno contestato Vladimir Putin ogni fine settimana per tutta l’estate. Protestavano contro la decisione della commissione elettorale di ammettere alle elezioni per la Duma di Mosca alcuni dei candidati di opposizione e per lo stato della democrazia del paese. Dopo il voto dell’8 settembre, i putiniani hanno perso un terzo dei seggi nel Parlamento della capitale. Mantenendo comunque la maggioranza, hanno subìto una piccola ma importante sconfitta, e la mobilitazione dei ragazzi è stata determinante. La scelta di ratificare l’accordo di Parigi serve anche ad avvicinarsi a loro, che non sono la maggioranza della popolazione, ma hanno dimostrato di poter contare.

La Russia dagli anni Novanta a oggi ha già cercato di apportare alcuni cambiamenti, riducendo per esempio le emissioni di gas serra del 25 per cento e ora con gli accordi di Parigi si impegna a limitare le emissioni dal 70 al 75 per cento dei livelli base entro il 2030 e entro il 2020 dovrà presentare la sua strategia per dire come intende raggiungere il suo obiettivo. Dietro alle riforme sta proprio la terza speranza di Putin: far crescere l’economia russa con un piano di investimenti green che potrebbero portare a un aumento del pil.

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