Il sindaco di Istanbul Imamoglu apre ai curdi per far fronte contro Erdogan

Francesco Chiamulera

In Turchia, in questi mesi, si sperimentano strane convergenze. Aperture importanti, accelerate dalla necessità

Milano. “Questa è una delle fotografie più importanti degli ultimi anni. L’alleanza dei democratici. Finalmente”. La didascalia del giornalista turco Can Dündar è per un’immagine fino a qualche mese fa impensabile. Su due opposte poltrone, a confrontarsi sorridenti, il sindaco kemalista di Istanbul Ekrem Imamoglu e i suoi omologhi curdi Adnan Selçuk Mizrakli, Bedia Özgökçe Ertan e Ahmet Türk, cosindaci di Diyarbakir, Van e Mardin, eletti a marzo con il Partito popolare democratico (Hdp) e rimossi il 19 agosto dal governo di Recep Tayyip Erdogğan con la consueta accusa di connessioni con il Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, inserito da Turchia, Stati Uniti e Unione europea tra le organizzazioni terroristiche. Luogo: Diyarbakir, nel cuore del kurdistan anatolico, dove Iİmamogğlu si è recato la settimana scorsa per portare ai colleghi la propria solidarietà. “Siamo qui per darvi forza. Siamo preoccupati dal danno inflitto alla democrazia. Vorrei ricordare le date del 31 marzo e del 23 giugno a quanti sembrano avere dimenticato come il popolo risponde alle rimozioni dall’alto di amministratori eletti”, ha detto İImamogğlu. Il riferimento è alla propria prima vittoria ottenuta di misura e annullata dalla corte su richiesta dell’Akp di Erdogan, e a quella di due mesi dopo, vinta trionfalmente con il 54 per cento.

  

La scandalosa novità è però nel parallelismo che Imamoglu ha voluto tracciare, cioè nella solidarietà offerta platealmente a una parte sociale e politica della Turchia alla quale il suo partito, il Chp fondato da Atatürk, in passato era stato ferocemente ostile. In Turchia, in questi mesi, si sperimentano strane convergenze. E’ il miracolo in cui sembra essere riuscito suo malgrado Erdogan, che spinge i due partiti Chp e Hdp, formalmente entrambi di sinistra ma nei fatti divisi da un antichissimo fossato etnico, da una storia tormentata di persecuzioni e di tentativi di assimilazione forzata, a pensare l’impensabile: un’alleanza, sebbene non dichiarata. Il riavvicinamento, che trova coronamento in questa visita circospetta ma cordiale, è iniziato con il sostegno dell’elettorato curdo alle elezioni di Istanbul, “decisivo per la vittoria di Iİmamoğglu”, nota Gülistan Gürbey, docente alla Freie Universität di Berlino: “Dei circa 4 milioni e 600 mila voti per Imamoglu, almeno 900 mila erano di elettori dell’Hdp. E l’Hdp non ha presentato candidati nelle principali città turche occidentali per aiutare i candidati del Chp a vincere”.

 

Si potrebbe obiettare che, pur di fare argine contro un nemico comune, specie se autoritario, qualsiasi alleanza tra formazioni anche distanti è lecita: in Francia gollisti e socialisti non hanno ripetuto due volte la union sacrée per evitare che il Front National arrivasse all'Eliseo, nel 2002 e nel 2017? Ma la Turchia è diversa. Sono cent’anni che i turchi provano a snazionalizzare con la forza la consistente minoranza curda (almeno 15 milioni, più del 15 per cento della popolazione), e fu proprio Atatürk a introdurre il concetto di “turchità” (türklük): surrogato moderno, repubblicano e nazionalista del collante dinastico e religioso dell’antico stato ottomano. Nessuna vera autonomia è stata mai concessa ai curdi, che fino al 1991 il governo addirittura non chiamava per nome, preferendo l’ellittica espressione “turchi delle montagne”. Periodiche rivolte curde sono state puntualmente soffocate nel sangue, come la ribellione di Dersim del 1936-38, contro le politiche kemaliste di deportazione e insediamento forzato della popolazione di cultura curda, che si ripeterono ancora negli anni Sessanta. Il Chp è stato parte di questa storia. Persino il leader coltissimo e illuminato Bülent Ecevit – un socialista che traduceva T.S. Eliot e che negli anni Cinquanta aveva visitato il sud degli Stati Uniti stigmatizzando il razzismo dei bianchi – non aveva esitato a giocare la carta della sicurezza nazionale contro i “curdi terroristi” nel corso dell’affaire Ocalan.

  

Le cose, tuttavia, stanno cambiando velocemente. Il manifesto elettorale del Chp del 2011 per la prima volta ha promesso di “superare gli ostacoli che impediscono ai cittadini curdi di esprimere la loro identità”, arrivando a menzionare la possibilità di corsi statali di lingua curda. Un’apertura importante, che viene ora accelerata dalla necessità. “I leader del Chp sanno bene che se oggi rimangono in silenzio verso le rimozioni dei sindaci dell’altro partito di opposizione, domani la stessa cosa potrebbe accadere a loro”, spiega Dündar. Altra cosa, però, è che tale alleanza sia destinata a venire suggellata da un patto alla luce del sole. “Questo non accadrà, perché i kemalisti non vogliono avallare la propaganda di Erdogan, ovvero il sospetto di intelligenza con i terroristi. Piuttosto, è un accordo di desistenza silenziosa. Il più rilevante nella vita politica turca degli ultimi diciassette anni”.

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