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Il sindaco contro l'odio

Mariano Giustino

Amore e gentilezza come strategia, vi pare possibile? È la sfida di Imamoglu a Istanbul

Mentre il nuovo sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, si insediava nel suo ufficio della Grande municipalità di Istanbul per la seconda volta in poco meno di tre mesi, girava voce che i suoi poteri, già limitati, e quelli degli altri sindaci dell’opposizione saranno ulteriormente ridotti. Sarebbero già pronte altre leggi per svuotare ancora di più i poteri dei sindaci dei grandi centri urbani finiti quasi tutti nelle mani dell’opposizione. Così il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, potrebbe riprendere il controllo perduto delle città non essendo riuscito ad impedire con la ripetizione delle elezioni a Istanbul la perdita della più grande città della Turchia, centro nevralgico del paese attraverso il quale, nel corso di 25 anni di amministrazione di partiti dell’islam politico, è fluito quel grande fiume di denaro pubblico che, con l’elargizione di appalti per le grandi opere, ha alimentato il suo partito-stato, il Partito della giustizia e dello sviluppo, l’Akp.

 

Erdogan pensa di concentrare nelle sue mani anche i poteri delle amministrazioni locali che ha perso nelle urne.

 

Anche prima che Imamoglu riconquistasse il 23 giugno il posto di sindaco di Istanbul dopo la sua cacciata – avvenuta il 6 maggio – a seguito delle pressioni esercitate sul Consiglio elettorale supremo (Ysk) dal presidente, è emerso che i poteri dei sindaci in tutto il paese si stanno riducendo, a causa dei decreti presidenziali varati tra il voto di Istanbul del 31 marzo, poi annullato, e quello del 23 giugno. Tali decreti sono parte di una più ampia strategia per ostacolare il lavoro dei sindaci dell’opposizione che ora gestiscono i comuni precedentemente amministrati dall’Akp.

 


La trasformazione del Chp racconta un cambiamento profondo nel paese ancor più evidenziato dalla crisi economica. Imamoglu ha cercato di compensare differenze e lotte, cosa rara in questa stagione (e in questa Turchia) di polarizzazione assoluta


 

Lo storico quotidiano d’opposizione Cumhuriyet riferisce che con una circolare del ministero del Commercio, pubblicata a maggio, il governo ha sottratto all’autorità del sindaco la nomina dei capi delle imprese municipalizzate trasferendola ai consigli distrettuali che sono ancora controllati dall’Akp. Si tratta di aziende con un fatturato annuo di circa 24 miliardi di lire (3,7 miliardi di euro), come quelle del gigante dell’orticoltura Agaç ve Peyzaj e del fornitore di gas Igdas.

 

Ma il sindaco Imamoglu non appare per nulla turbato dai possibili ostacoli che Erdogan e il suo partito continuano a frapporre. E annuncia di voler riprendere con la sua squadra il lavoro certosino che punta a far emergere lo spreco di danaro pubblico che vi sarebbe stato in particolare negli ultimi cinque anni dell’amministrazione Akp a Istanbul. Nella conferenza stampa tenuta pochi giorni dopo la straordinaria vittoria elettorale, gli abbiamo chiesto qual fosse il suo progetto. “Abbiamo ricevuto il mandato per trasformare Istanbul, per farla diventare una città di tutti e per tutti’’, è stata la sua risposta. “Per prima cosa la nostra amministrazione dovrà essere trasparente, equa e dunque giusta, perché dovrà essere vicina a tutti, a tutte le diversità sociali, etniche e religiose. Sono iniziati i giorni in cui a partire da Istanbul lanceremo messaggi positivi a tutta la Turchia”. E ancora: “E’ un nuovo inizio: in questa città ci sarà un’amministrazione che avrà come linea guida il rispetto del Diritto (Hak), della Legge (Hukuk) e della Giustizia (Adalet)”.

 

Queste erano le parole d’ordine della storica Marcia per la Giustizia, da Ankara a Istanbul. Imamoglu, 49 anni, nato ad Akçaabat, nella regione del Mar Nero, da una famiglia conservatrice e religiosa, ha un background di atatürchista e di osservante musulmano ed è emerso come leader politico nel 2010 nello storico Partito repubblicano del popolo (Chp), il più antico della Turchia, fondato da Atatürk nel 1923. Divenne virale un video in cui veniva ripreso durante la campagna elettorale mentre recitava un versetto del Corano in arabo in una moschea dopo l’attacco terroristico a Christchurch, in Nuova Zelanda. Il Chp è stato per lungo tempo bollato dai suoi detrattori come partito elitario, logoro e noioso, ostile ai musulmani osservanti e alle minoranze etniche. Negli anni ’90 e nei primi anni 2000, il partito è stato governato dal kemalista Deniz Baykal. I suoi membri usavano spesso una retorica polarizzante che alimentava animosità culturali tra nazionalisti laici, conservatori religiosi e curdi. Secondo Imamoglu per il Chp il principale ostacolo alla vittoria elettorale era costituito dal modo in cui i suoi leader politici interagivano con l’elettorato. Questo partito ancora oggi evoca in un’ampia parte della popolazione turca, religiosa, il potere che storicamente hanno avuto i militari, la gendarmeria, che impedivano agli studenti di studiare il Corano, che trasformavano le moschee in magazzini e impiccavano le persone che non indossavano copricapi in stile occidentale. La nuova strategia comunicativa di Ekrem Imamoglu è dunque il frutto dei cambiamenti iniziati sin da quando Kemal Kilicdaroglu diventò presidente del Chp, nel 2010.

 

Fu da quella data in poi che nel partito repubblicano incominciò a farsi strada una nuova generazione di politici che adottarono una strategia comunicativa che l’allora giovanissimo Imamoglu, presidente del Chp del distretto di Beylikdüzü di Istanbul, incominciò a studiare e a praticare. Costituendo attorno a sé una squadra molto coesa di politici e di amministratori. Tutto ciò fu possibile grazie alle aperture di Kilicdaroglu che intendeva traghettare il partito repubblicano dalla storica posizione ideologica e anacronistica dell’ideologia kemalista a quella socialdemocratica.

 

Il linguaggio di Imamoglu non è molto diverso da quello adottato da Kilicdaroglu nella storica Marcia per la Giustizia Ankara-Istanbul, iniziata il 16 giugno 2017. “Camminiamo perché siamo assetati di giustizia. Ogni segmento della società lo è”. E aggiungeva: “Ci insultano, ci provocano, ci lanciano pietre, ci rovesciano addosso letame, depongono proiettili lungo il nostro cammino in segno di minaccia, ma tutto quello che ci rovesciano addosso per noi sono rose. Ai vostri insulti rispondiamo con un sorriso, con un gesto d’amore, con tolleranza perché difendiamo anche per voi il diritto di ciascuno a esprimere la propria opinione e lottiamo perché ci sia giustizia anche per voi”. Un messaggio, questo, dirompente in un paese come la Turchia ferito da profonde lacerazioni del suo tessuto umano e sociale.

 


Erdogan sta cercando in ogni modo (la legge c’è già) di limitare i poteri dei sindaci ora che ha perso la sua roccaforte. Ci sono 30/40 deputati pronti a lasciare il partito del presidente per unirsi a nuovi movimenti progettati dagli ex


 

La cosiddetta filosofia dell’“Amore radicale” che è alla base della strategia comunicativa di Imamoglu mira a contrastare il “kibir’’, parola turca che significa arroganza, vanità, alterigia. Adesso è l’Akp ad assomigliare al Chp dei vecchi tempi. Il partito di Erdogan appare calcificato, ideologico e fuori dal mondo reale. L’Akp ha creato una propria élite, simile all’élite secolare del passato, che generò un grande risentimento. In passato, il Chp utilizzava un linguaggio molto antipopolare che mostrava disprezzo per le masse conservatrici e religiose, per il loro stile di vita. Con questa nuova generazione di politici il partito sembra aver rinunciato alle sue pretese “civilizzatrici nei confronti delle masse in Anatolia”.Di conseguenza, molti conservatori religiosi non considerano più il Chp come una minaccia come avveniva in passato.

 

Ekrem Imamoglu ha costruito la sua carriera proprio in quegli anni, nel 2010, in cui Kilicdaroglu prese il controllo del partito. Ha programmato tutti i suoi successi, attraverso un lavoro ben pianificato che gli ha permesso di battere per tre volte l’Akp di Erdogan. La prima volta, quando divenne sindaco del distretto di Istanbul di Beylikdüzü, la seconda il 31 marzo scorso, e la terza nella ripetizione del voto il 23 giugno. Ogni volta che assumeva un nuovo incarico, azzerava tutto, dai quadri del partito ai vecchi progetti considerati inefficaci, puntando su ristrutturazione e riorganizzazione, che sono tra le sue parole d’ordine. Ekrem Imamoglu non è inquadrabile in nessun degli schemi di politici fin qui esistiti in Turchia. Sostiene che se c’è la qualità, l’impegno e la laboriosità si può lavorare insieme anche con persone di idee diverse. Ha sempre coinvolto le donne nella sua squadra, che è per circa il 50 per cento costituita da donne. Fa un uso massiccio dei social network con conversazioni dirette quasi quotidiane. Ma alla base della sua strategia di comunicazione vi è “l’essere gentile’’, entrando in contatto con tutti, con i livelli più poveri della popolazione, parlando nei bar e con un intenso porta a porta, fino a partecipare ai matrimoni come ai funerali dei cittadini del distretto che amministrava. Ha aperto numerose case di solidarietà e di assistenza per i poveri. Imamoglu ha molto chiari i suoi obiettivi e i suoi progetti, sa bene quello che vuole. E li vuole conseguire con forza e determinazione, ma con i suoi metodi gentili e inclusivi, con la nuova strategia comunicativa, definita del “linguaggio dell’amore radicale”, messa a punto dal giovane Ates Ilyas Bassoy, responsabile della campagna elettorale del Chp. Questo nuovo approccio del Partito repubblicano del popolo mira a superare le campagne aggressive e divisive messa in atto finora. “Partiamo dal democratizzare Istanbul per democratizzare tutta la Turchia, lo possiamo fare perché abbiamo l’amore nel cuore, l’amore per tutti, senza eccezioni e siamo la speranza per questo paese”, ha ripetuto Imamoglu in tutta la sua lunghissima campagna elettorale,effettuata casa per casa. “Non perdete la speranza”, ripeteva, domani “sarà tutto molto bello” (Her sey çok güzel olacak), era questo lo slogan che ha accompagnato la sua ultima campagna elettorale Tale slogan fu lanciato all’indomani della notte del 6 maggio, quando il Consiglio supremo elettorale annullò il suo mandato con una motivazione che appariva tutta politica, ma Imamoglu non si è lasciato andare alla disperazione e si è presentato alla folla del suo distretto dicendo che avrebbe restituito il maltolto agli elettori. Fu il sedicenne Berkay Gezgin a lanciare lo slogan “Her sey çok güzel olacak”: rincorse per tre chilometri l’autobus su cui viaggiava Imamoglu nel suo giro elettorale in un distretto di Istanbul costringendolo a fermarsi. Il sindaco lo volle abbracciare e Berkay pronunciò quelle parole di speranza. E’ indubbio che la storica sconfitta di İstanbul per il partito di Erdogan è stata determinata anche dalla grave recessione economica che ha colpito il paese, con l’aumento della disoccupazione, del costo della vita e dei beni di prima necessità, con una lira che si è fortemente indebolita e con una economia con forte dipendenza dai mercati esteri. E ciò non può che accelerare la tendenza al disfacimento all’interno dello stesso partito Akp di Erdogan. E’ noto che Ali Babacan, ex ministro dell’Economia dei primi governi di Erdogan, sta pianificando di lanciare un nuovo partito a settembre, sostenuto dall’ex presidente Abdullah Gül. In questi ultimi giorni si erano diffuse voci attraverso alcuni media turchi secondo cui sarebbero pronti a uscire dal partito di Erdogan dai 30 ai 40 parlamentari per aderire a uno dei due nuovi partiti di centro-destra che si dovrebbero costituire, a quello di Ali Babacan o a quello di Ahmet Davutoglu, ex primo ministro. Ora che ha perso la maggiore città del paese, per evitare di perdere anche la Turchia, Erdogan deve trovare un rimedio al problema principale che gli è costato Istanbul, vale a dire i prezzi alle stelle, la disoccupazione e la preoccupante perdita di valore della lira. L’impatto di questi tre fattori altamente dannosi è stato amplificato dal fatto che il governo non ha presentato un pacchetto completo e credibile di misure contro l’aggravarsi della crisi economica. Inoltre la perdita di Istanbul potrebbe segnare la fine dell’alleanza tra l’Akp di Erdogan e il Movimento del partito nazionalista Mhp di Bahçeli dal momento che quest’ultimo contribuisce ad alienare tutto il voto curdo conservatore. E ciò provocherebbe un ulteriore indebolimento del potere del governo di Erdogan.

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