Joss Bay a Broadstairs, nel Regno Unito (foto Wikimedia Commons)

Gli inglesi si preparano alla Brexit e non vanno più all'estero per le ferie

Gregorio Sorgi

Si parla molto del fenomeno della “staycation”, i brexiteer sono deliziati ma è soltanto la prima rinuncia per l’uscita dall’Ue

Roma. Quest’estate in Inghilterra c’è una parola che è sulla bocca di tutti: “staycation”. Significa che gli inglesi sono meno propensi a trascorrere le vacanze estive in Europa, e in compenso hanno riscoperto le città della costa britannica che avevano a lungo trascurato. L’estate dell’inglese medio è cambiata molto a causa della Brexit: il crollo della sterlina sull’euro ha reso i viaggi in Europa più costosi, spingendo molte famiglie a sostituire i voli low cost con i treni regionali, e a restarsene nel proprio paese. Non è il primo anno che succede, nel 2018 gli addetti ai lavori erano rimasti sorpresi che solo un milione di inglesi avesse viaggiato in Europa, e che il 57 per cento non fosse uscito dal proprio paese. Quest’estate il fenomeno è aumentato, ed è diventato una tendenza: secondo il sito Travel Weekly, il 69 per cento degli inglesi resterà a casa per le vacanze, e per il 58 per cento la scelta è legata ai timori per l’uscita dall’Ue prevista per il prossimo 31 ottobre.

 

La stampa euroscettica ha dato grande rilievo al fenomeno della “staycation”, trattandolo come un segno di allontanamento definitivo dall’Europa e una tardiva riscoperta dell’orgoglio britannico. Sempre meno persone “fanno la fila per andare in quei luoghi terribilmente caldi dell’Ue finanziati dai contribuenti inglesi (ancora per poco)”, ha scritto lo Spectator che la scorsa settimana ha dedicato la propria copertina al fenomeno estivo. Il settimanale conservatore e brexiteer racconta con dovizia di particolari il rilancio delle città costiere inglesi, che erano passate di moda a partire dagli anni Sessanta per colpa di una riforma ferroviaria che le aveva rese quasi irraggiungibili e, successivamente, hanno ricevuto il colpo di grazia dalla diffusione dei voli low cost, consentendo anche alla working class di viaggiare in Europa a poco prezzo. Tanto è marcato il campanilismo dei britannici che la “staycation” viene raccontata come un’eccellenza nazionale dell’epoca post Brexit. 

 

Secondo lo Spectator è finalmente cambiata l’aria e le località turistiche inglesi sono tornate a essere trendy: sono spuntati negozi alla moda, grandi ristoranti, festival letterari e gallerie d’arte. I turisti inglesi non sentono il bisogno di recarsi in Europa perché la spiaggia della porta accanto è più bella. Ogni cittadina attrae il proprio bacino turistico di riferimento, e i luoghi più sofisticati possono soddisfare anche l’alta borghesia che negli ultimi anni si era abituata a trascorrere l’estate nelle spiagge più trendy del mediterraneo. Lo Yorkshire, uno dei luoghi simbolo del rilancio, ha attirato oltre 5 milioni di turisti inglesi la scorsa estate e la cittadina di Whitby, che di inverno conta solo 13 mila abitanti, è il fiore all’occhiello della regione.

 

La “staycation” è il sintomo di un’estate transitoria e piena di incertezze, che anticipa uno dei momenti più caotici del dopoguerra britannico. Il governo si sta preparando a uscire dall’Ue senza accordo – ha già messo da parte 2,1 miliardi di sterline per alleviare i contraccolpi – anche a costo di imporre ai cittadini delle rinunce nel breve termine. Ogni giorno si leggono rapporti catastrofisti sull’impatto del no deal: mancheranno le medicine, termineranno le scorte di cibo, ci sarà una nuova recessione, e l’inglese medio si dovrà adeguare. Il governo di recente ha fatto sapere che potrebbe addirittura modificare i menù delle scuole per fare fronte alla mancanza di cibo, reinserendo una merendina a base di tacchino (turkey twizzlers) che era stata bandita perché dannosa per la salute dei bambini. La rinuncia alle vacanze in Europa potrebbe essere la prima di tante.

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