Il leader della Corea del Nord Kim Jong Un e il presidente sudcoreano Moon Jae-in camminano insieme presso Samjiyon (foto LaPresse)

No, Scalfarotto e Napoli non sono i nuovi Razzi nordcoreani

Giulia Pompili

L'Italia prova a gettare un ponte tra le due Coree in forza degli ottimi rapporti mantenuti negli anni con entrambi i paesi della penisola

Roma. Tra le tante questioni di politica internazionale che negli ultimi anni ci siamo persi per strada ce n’è una considerata piuttosto marginale nel nostro paese, ma che in realtà – mentre gran parte dell’economia mondiale sposta il suo asse verso est – è di fondamentale importanza. Fino a poco tempo fa i rapporti con la Corea del nord in Italia erano associati quasi esclusivamente a figure macchiettistiche della politica. Perfino il vicepremier Matteo Salvini non parla mai del suo viaggio nel 2014 in Corea del nord, rimosso dalla memoria, a parte quella famosa frase sulla pulizia e sull’ordine che aveva trovato a Pyongyang e che restò negli annali delle dichiarazioni fuori luogo. Sin dall’inizio dello scorso anno, però, l’area dell’Asia orientale sta vivendo profondi cambiamenti, dati soprattutto dall’apertura della Corea del nord al dialogo con l’Amministrazione del presidente sudcoreano Moon Jae-in, e che l’Italia si stia pian piano riappropriando di un ruolo nel quadrante asiatico: un lavorìo sottotraccia che merita attenzione. Una settimana fa il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha rilasciato per la prima volta un’esenzione proprio all’Italia per trasferire denaro in Corea del nord, sottoposta a durissime sanzioni economiche internazionali, per finanziare l’impresa italiana che gestirà l’ufficio di cooperazione europeo a Pyongyang. Ma c’è di più.

 

In questi giorni due parlamentari di forze politiche opposte, Osvaldo Napoli di Forza Italia e Ivan Scalfarotto del Partito democratico, stanno partecipando a una missione congiunta in Corea del nord e in Corea del sud. Napoli è infatti il presidente dell’associazione parlamentare di amicizia tra Italia e Corea del nord, Scalfarotto ha lo stesso ruolo nell’associazione con la Corea del sud. Quest’anno è accaduto che, mentre Napoli organizzava l’annuale viaggio a Pyongyang, l’ambasciata sudcoreana a Roma abbia domandato al presidente della Camera Roberto Fico di trasformare la missione in un doppio appuntamento sia al Nord sia al Sud. E non succedeva dal 2000, quando l’allora presidente della Camera Luciano Violante aprì la strada al dialogo parlamentare con il Nord volando a Pechino, Pyongyang e Tokyo. Del resto, l’Italia ha sempre avuto ottimi rapporti con entrambi i paesi della penisola: per ragioni storiche (la presenza del Partito comunista nella politica italiana era considerata una specie di comunione d’intenti agli occhi di Pyongyang) ma anche per ragioni pratiche e diplomatiche. La Croce rossa italiana intervenne durante la Guerra di Corea del 50-53 come supporto neutrale, e il 4 gennaio del 2000 l’Italia fu il primo paese del G7 a ristabilire le relazioni diplomatiche con Pyongyang grazie all’azione dell’allora ministro degli Esteri Lamberto Dini. Poi però la Corea del nord nel nostro paese è stata obliata, e per anni quel dialogo si è trasformato in un alibi per traffici poco leciti – tra bottiglie di vino, gioielli, banconote, calciatori – oltre che di misteri – dalla spia sotto copertura all’ambasciatore ad interim che sparisce, e di cui ancora non si sa nulla.

 

Dopo le provocazioni nordcoreane del 2017, l’allora ministro degli Esteri Angelino Alfano, su pressione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, aveva deciso di non accreditare il nuovo ambasciatore nordcoreano a Roma. Un gesto di rottura inusuale, a cui era seguita una sostanziale chiusura del dialogo, riaperto in questi giorni da Napoli e Scalfarotto. Un anno e mezzo dopo l’inizio della nuova Sunshine policy alla delegazione italiana i nordcoreani hanno domandato l’accreditamento di un nuovo ambasciatore a Roma, e aspettano quello per fare lo stesso con il nostro nuovo ambasciatore italiano in Corea del sud, Federico Failla, che è responsabile anche per il Nord. Le cose si complicano però per quanto riguarda l’ufficio di cooperazione italiana a Pyongyang – cioè l’unico ufficio istituzionale italiano in Corea del nord – che per il triennio 2017-2019 non è stato rifinanziato, e quindi a fine anno rischia di chiudere. Nel frattempo Seul, con cui condividiamo un trattato di libero scambio a livello europeo molto vantaggioso, ha mandato a Roma come ambasciatore un uomo molto vicino all’Amministrazione Moon, Kwon Hee-seog. Se la pace e il dialogo dovessero reggere, avremmo già gettato le basi per costruire il futuro, anche degli investimenti al Nord.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.