Proteste contro l'abolizione da parte dell'India dell'autonomia del Kashmir. Truppe paramilitari indiane bloccano una strada durante il coprifuoco a Srinagar

Gli estremisti dietro a Modi

Carlo Buldrini

Gli eventi del Kashmir mostrano chi è davvero il premier dell’India: un nazionalista legato a un movimento degli anni Venti che predica la superiorità della razza hindu

Ora il Kashmir diventa davvero pericoloso

Milano. Lunedì il governo nazionalista dell’India ha inviato migliaia di soldati nella regione del Kashmir dopo aver annullato lo stato di autonomia di cui da decenni ha goduto quel territorio, a maggioranza musulmana e conteso tra India e Pakistan. Il Parlamento indiano ha approvato in maniera lampo una legge che ha dissolto l’articolo 370 della Costituzione (che garantisce autonomia al Kashmir) e ha spezzato lo stato di Jammu e Kashmir, dividendolo in due “Territori dell’Unione” privi dell’autonomia dello stato precedente: da un lato Jammu e Kashmir, che mantiene il nome e mantiene un Parlamento locale, ma perde la libertà originaria; dall’altro Ladakh, territorio che sarà governato direttamente da Nuova Delhi. L’eliminazione dell’autonomia del Kashmir è un elemento di propaganda fortissimo nei movimenti nazionalisti hindu di cui Narendra Modi fa parte, ed è stato uno dei temi di campagna elettorale del premier. Il Kashmir, territorio conteso tra Pakistan e India fin dalla loro fondazione, nel 1947 scelse di unirsi all’India dietro garanzia del mantenimento di una certa autonomia. Da allora, tuttavia, le contese per la regione hanno provocato guerre e scontri tra Islamabad e Nuova Delhi, e attratto attacchi terroristici da parte di movimenti separatisti e islamisti. L’ultimo, a febbraio, ha colpito un convoglio di truppe indiane e fatto 40 morti. La scorsa settimana il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ricevendo il primo ministro pachistano Imran Khan alla Casa Bianca si è proposto come mediatore sulla questione del Kashmir. L’India ha rifiutato.


 

Nel maggio scorso i media di tutto il mondo hanno raccontato la travolgente vittoria nelle elezioni indiane di Narendra Modi e del suo partito, il Bharatiya Janata Party (Bjp). In pochi hanno parlato invece di una organizzazione, potente e in larga misura segreta, che li controlla entrambi: il Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss), l’Associazione dei volontari nazionali. Questa organizzazione, con il suo milione e passa di militanti, è l’associazione di volontari più grande del mondo. Narendra Modi, l’attuale primo ministro dell’India, ne fa parte fin da quando aveva l’età di otto anni.

 

Il Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss) fu fondato nel 1925 per formare giovani fondamentalisti hindu. Il modello erano i Balilla

Il Rashtriya Swayamsevak Sangh nasce a Nagpur, in India, nel 1925 per opera di R.B. Hegdewar, un brahmino del Maharashtra. L’ideologo di punta dell’Rss è stato V.D. Savarkar (1883-1966). E’ stato lui a coniare il termine “hindutva” con cui viene oggi chiamata l’ideologia fondamentalista hindu. Nella biografia di Savarkar si legge che, a dodici anni, alla testa di un gruppo di coetanei, prese a sassate la moschea del suo villaggio per vendicarsi delle “atrocità” commesse dai musulmani nei confronti degli hindu. Da allora, per Savarkar, i musulmani saranno sempre gli “aggressori” e contro di loro doveva materializzarsi la vendetta degli hindu. Per Savarkar gli obiettivi degli hindu rimanevano gli stessi già enunciati da Shivaji, un re guerriero maratha del Diciassettesimo secolo: “Riconquistare i territori perduti, preservare le sacre scritture dei Veda, proteggere i brahmini e la vacca sacra, ristabilire la centralità e la gloria del popolo hindu”. Savarkar individuò nei musulmani, nei cristiani e nella “élite occidentalizzata”, le forze disgregatrici della società indiana. L’islam costituiva il pericolo maggiore, per la dimensione della presenza dei musulmani in India, per la loro continua animosità nei confronti degli hindu e perché pensavano ancora di essere arrivati in India per “conquistare”. Ai cristiani Savarkar rimproverava il fatto di costituire una comunità a sé stante, di essere culturalmente diversi, di essere separati dallo “spirito nazionale”. Infine, l’élite occidentalizzata era criticata perché suggeriva per lo sviluppo dell’India il capitalismo o il socialismo, entrambi modelli estranei alla cultura indiana. Per Savarkar l’identità nazionale dell’India era tutta contenuta nella cultura hindu. Questa comprendeva non solo l’induismo come religione, ma anche la lingua – il sanscrito e il suo derivato vernacolare, la lingua hindi – e l’Hindustan, la sacra terra degli hindu. Il motto di Savarkar era: “Hindu, Hindi, Hindustan”, una religione, una lingua, una patria.

   

Hegdewar, il fondatore dell’Rss, farà propria questa ideologia. Siamo negli anni 20 e 30 del secolo scorso e, in India, tutte le organizzazioni caratterizzate dall’induismo politico sono attratte dal nazismo e dal fascismo europei. Le pubblicazioni che le fiancheggiano tessono le lodi di Franco, Mussolini e Hitler. Amico e mentore di Hegdewar è B.S. Moonje, un brahmino, presidente dell’Hindu Mahasabha, una delle prime organizzazioni nazionaliste hindu. Moonje eserciterà un’influenza fondamentale nel mettere a punto l’ideologia e la struttura organizzativa dell’Rss. Nel marzo del 1931 Moonje è in Italia e, a Roma, incontra Mussolini. Studia a fondo il movimento dei Balilla e ne rimane affascinato. “Infondere nei giovani il sentimento della disciplina e dell’educazione militare e renderli consapevoli della loro appartenenza alla patria”, queste finalità dell’Opera nazionale Balilla, trapiantate in India, diventeranno anche gli obiettivi del Rashtriya Swayamsevak Sangh. Hedgewar volle attirare i giovanissimi nell’Rss in modo da formarne la mente e il corpo e fare di loro i “guerrieri hindu” di domani. L’unità di base dell’Rss è la “shakha”, letteralmente il “ramo”. Con questo termine si indica sia il gruppo di volontari sia il luogo fisico dove si riuniscono. La shakha prende lo spunto dagli akhara, le tradizionali palestre indiane. Nelle shakha si fanno esercizi fisici, si lotta con le “lathi”, i bastoni di bambù, si compie il saluto rituale alla bandiera triangolare color zafferano dell’Rss – la mano destra portata all’altezza del cuore, con il palmo rivolto verso il basso – si ricordano l’Età dell’oro del periodo vedico e le gesta degli eroi hindu del passato che hanno combattuto contro gli “invasori musulmani”, Shivaji e Rana Pratap su tutti. Per i giovanissimi si organizzano giochi, soprattutto la popolare “kabaddi”.

   

L’Rss ha anche una propria teoria della “razza ariana”: gli ariani, razza superiore alle altre, sarebbero gli hindu

Il piccolo Narendra (Modi), all’età di otto anni, comincia a frequentare la shakha di Vadnagar, la cittadina del Gujarat dove è nato. Sarà Vakis Saheb, il capo di questa shakha, a farlo entrare giovanissimo nell’Rss. Va ricordato che, per volontà del suo fondatore Hegdewar, nell’Rss venne costituito un gruppo speciale di volontari chiamati “pracharak” che si dedicano interamente all’Associazione. I pracharak rinunciano alla carriera professionale e, spesso, anche al matrimonio. Hegdewar arrivò a dire che un pracharak deve essere un “sadhu”, un asceta hindu. Il giovane Narendra, come voleva la tradizione, a 13 anni fu fatto “fidanzare” con Jashodaben, una coetanea della sua stessa comunità. Raggiunti i 18 anni di età, fu celebrato il matrimonio. Ma Narendra Modi era ormai preso dagli ideali dell’Rss e non aveva né tempo né interesse per una moglie e una famiglia. Dopo tre mesi abbandonò Jashodaben e il matrimonio non fu mai consumato. Modi diventò invece un pracharak dell’Rss, un ruolo che ricopre tuttora. E questo pone – o dovrebbe porre – dei problemi. C’è stato un precedente al riguardo. Nelle elezioni del 1977, subito dopo l’“Emergenza”, per sconfiggere Indira Gandhi, tutti i partiti di opposizione si unirono in un’unica formazione politica, il Janata Party. A far parte del Janata Party entrò anche il Bharatiya Jana Sangh, il partito direttamente legato all’Rss e che oggi ha preso il nome di Bharatiya Janata Party (Bjp). Nel 1977 il Janata vinse le elezioni e fu formato un governo sotto la guida di Morarji Desai. Ma due suoi importanti ministri, A.B. Vajpayee e L.K. Advani, erano anche membri dell’Rss. I parlamentari socialisti del Janata Party sollevarono allora la questione della “dual membership”, la doppia affiliazione. Com’era possibile – dissero – che un politico che deve onorare il mandato popolare ottenuto attraverso libere elezioni possa contemporaneamente rispondere agli ordini di una organizzazione in gran parte segreta come l’Rss, completamente priva di una legittimazione democratica?

 

Ai due ministri del Jana Sangh fu chiesto di troncare i rapporti con l’Rss. I due rifiutarono. Il Janata Party andò in pezzi e il governo di Morarji Desai fu costretto a dimettersi. Oggi l’anomalia è ancora più evidente: è lo stesso primo ministro dell’India a essere un membro del Rashtriya Swayamsevak Sangh; ma nessuno sembra voler sollevare il problema. D’altronde Modi non ha mai nascosto questa sua appartenenza, anche perché deve all’Rss l’intera sua carriera politica. Nell’ottobre 2001, l’Rss fece dimettere Keshbar Patel dalla carica di “chief minister” del Gujarat e impose Modi, non eletto, come capo del governo di questo stato. Modi sarà rieletto in Gujarat per altri due mandati consecutivi. Il controllo del Rashtriya Swayamsevak Sangh sul Bjp è pressoché totale. Nelle elezioni nazionali, il nome del candidato alla carica di primo ministro dell’India è deciso a Kanpur, nella sede centrale dell’Rss. Per le elezioni del 2014, l’Rss decise di puntare sul suo “pracharak” Narendra Modi. L.K. Advani, il leader anziano del Bjp, ne fece un dramma. Ma l’Rss fu inamovibile. Modi stravinse le elezioni conquistando la maggioranza assoluta dei seggi nel Parlamento di New Delhi. Pochi giorni dopo la sua nomina a primo ministro, Narendra Modi si fece fotografare mentre versava a piene mani petali di rosa di fronte a una immagine inghirlandata di Savarkar, l’ideologo dell’Rss.

  

Proteste contro l'abolizione dell'autonomia del Kashmir: manifestanti bruciano il manichino di Modi (LaPresse)


  

Come è stato detto, uno dei compiti principali dell’Rss è quello di mantenere vivo il ricordo di una mitica Età dell’oro in cui vissero gli “arya” (gli ariani), gli abitanti dell’India del periodo vedico. Gli arya erano popolazioni indoeuropee originarie probabilmente della Russia meridionale. Entrarono nel subcontinente indiano verso il 1500 a.C. Ma l’Rss rifiuta questa teoria. Sostiene invece che gli arya erano una popolazione autoctona dell’India e, al riguardo, l’Rss ha una tesi molto sbrigativa: “arya”, in sanscrito, significa “colui che merita rispetto”, gli hindu hanno origini “ariane”, sono dunque un popolo superiore a tutti gli altri. In questo mito delle origini e della superiorità della razza ariana c’è un altro punto di contatto tra l’Rss e il nazismo e il fascismo europei.

   

Con il governo hanno fatto la loro comparsa i vigilantes a protezione delle vacche sacre, che hanno linciato decine di persone

Dopo la vittoria di Narendra Modi nelle elezioni del 2014, è iniziato il tentativo di riscrivere l’intera storia dell’India in modo da legittimare l’ideologia nazionalista hindu. Dai libri di testo scolastici sono stati tolti i capitoli che contraddicevano questa ideologia e sostituiti con altri che la legittimano. Una delle prime nomine fatte dal governo Modi fu quella di mettere un affiliato all’Rss, Y.S. Rao, a capo dell’Indian Council for Historical Research. Y.S. Rao sostiene che quanto è narrato nelle epiche indiane – il “Ramayana” e il “Mahabharata” – non sono miti ma “una veritiera descrizione dei fatti avvenuti”. Questa affermazione è stata una sorta di “via libera” per tutti. Narendra Modi, intervenendo in un convegno di medici presso un famoso ospedale di Mumbai, disse che “nell’India antica c’erano dei bravissimi chirurghi plastici che riuscivano a impiantare una testa di elefante su un corpo umano, così come è avvenuto nel caso del dio Ganesha che noi tutti adoriamo”. Modi non era nuovo a queste sortite. Quando ancora guidava il governo del Gujarat, scrisse l’introduzione a un libro di testo scolastico in cui si affermava che (il dio) Rama fu la prima persona a pilotare un aereo. Dopo le elezioni di quest’anno, nell’India del Modi 2.0, è tutto un florilegio di queste teorie. C’è chi sostiene che, secoli fa, gli indiani condussero test nucleari, altri ancora affermano che “l’astrologia è la scienza più importante del mondo”, e così via. Anni fa, a Bangalore, intervistai il professor C.N. Rao, direttore del Jawaharlal Nehru Centre for Advanced Scientific Research. Il professor Rao è stato anche consigliere scientifico dell’ex primo ministro indiano Manmohan Singh. Mi disse: “Il centro dove ci troviamo porta il nome di Jawaharlal Nehru. Nehru volle inculcare nel popolo indiano una tempra scientifica tale da rimuovere superstizione e fatalismo che tanto hanno nuociuto allo sviluppo del nostro paese”. Se Nehru fosse ancora in vita, resterebbe inorridito nel vedere come sia caduta in basso la “tempra scientifica” dei governanti color zafferano dell’India di oggi.

  

Per capire il modo in cui opera il Rashtriya Swayamsevak Sangh bisogna prendere in considerazione tutte le sigle appartenenti al Sangh Parivar, la “Famiglia dell’Associazione”, dove per associazione si intende l’Associazione dei volontari nazionali e cioè l’Rss. C’è innanzitutto il Bharatiya Janata Party (Bjp), il partito di Narendra Modi, il braccio parlamentare dell’Rss. C’è poi il Bharatiya Mazdoor Sangh, l’organizzazione sindacale dei lavoratori. C’è il Bharatiya Kisan Sangh, l’organizzazione dei contadini, e molte altre sigle ancora. Ma ci sono soprattutto la Vishva Hindu Parishad (Il Concilio mondiale degli hindu) e il Bajrang Dal, conosciuto anche come l’Esercito di Hanuman, il dio scimmia, fedele servitore del dio Rama. Sono i militanti di queste due ultime organizzazioni a costituire il braccio armato del nazionalismo hindu. Sono loro a compiere gli attentati, i massacri, i pogrom contro i musulmani e le altre minoranze del paese. E’ stato così ad Ayodhya quando, il 6 dicembre 1992, estremisti hindu rasero al suolo la Babri Masjid, la moschea di Babur costruita nel sedicesimo secolo. Nei “riots” che seguirono morirono più di tremila persone. E, nei primi mesi del 2002, sono stati ancora i militanti di queste due organizzazioni a mettere a ferro e fuoco ad Ahmedabad e in tutto il Gujarat i quartieri dei musulmani accusati di aver provocato l’incidente nella stazione di Godhra nel quale morirono bruciati vivi 59 hindu di ritorno da un pellegrinaggio ad Ayodhya. La distruzione della moschea di Ayodhya e il pogrom anti musulmano del Gujarat sono stati i due eventi con cui il fondamentalismo hindu ha fatto il suo prepotente ingresso nell’India dei nostri giorni. Con il governo Modi, sotto l’ombrello del Sangh Parivar, si è aggiunta una new entry. Si tratta del Bharatiya Gau Raksha Dal, l’Organizzazione indiana per la protezione della vacca. Com’è noto, la vacca è per gli hindu un animale sacro. I militanti di questa organizzazione, i “vigilantes”, si sono dati il compito di proteggere il sacro animale. Musulmani, dalit (gli ex “intoccabili”) e cristiani – gli “impuri” mangiatori di carne bovina – sono diventati il bersaglio dei vigilantes. Nei primi cinque anni di governo Modi, 44 persone sono state linciate a morte in incidenti legati alla protezione della vacca. La violenza dei vigilantes è oggi capillarmente diffusa in tutto il paese ed è ormai impossibile da controllare. Dopo la seconda vittoria di Modi nelle elezioni politiche nazionali, gli incidenti provocati dai vigilantes sono immediatamente ripresi negli stati del Madhya Pradesh, Haryana e Bihar.

  

I libri di scuola snobbano il pensiero scientifico e definiscono come realtà storiche i racconti mitologici della tradizione indiana

M.S. Golwalkar, il secondo “sarsanghchalak” (leader supremo) dell’Rss, rifiutava l’idea di un’India multietnica. Nel suo libro “We, or Our Nationhood Defined” scrive: “Le razze straniere presenti nell’Hindustan hanno due possibilità: o adottare la cultura hindu e la sua lingua, rispettare e riverire la religione hindu e fare proprie le idee che glorificano la razza e la cultura hindu, oppure restare in questo paese totalmente subordinate, senza pretendere nulla, senza privilegi e senza nemmeno il diritto di cittadinanza”. Malgrado siano presenti in India da secoli, l’Rss considera i musulmani e i cristiani degli alieni, un corpo estraneo nella società hindu. In un comizio tenuto a Calcutta durante l’ultima campagna elettorale, Amit Shah, il presidente del Bjp e membro dell’Rss, ha detto che i migranti provenienti dai paesi vicini otterranno la cittadinanza indiana solo se sono hindu, tutti gli altri “saranno buttati fuori” dal paese. Nel nuovo governo Modi, Amith Shah ha assunto adesso la carica di ministro dell’Interno. Per i rifugiati musulmani – per esempio i rohingya provenienti dal Myanmar o i migranti arrivati dal Bangladesh – si prospettano tempi molto difficili.

   

 

Pakistan e India sono nati a poche ore di distanza il 14 e 15 agosto 1947. Ma mentre il Pakistan decise di essere una nazione confessionale con l’islam come religione di stato, l’India si definì invece una “repubblica secolare e democratica”. Furono le idee laiche di Jawaharlal Nehru a modellare la nuova India. “Unity in Diversity” fu lo slogan del primo premier dell’India indipendente. In un famoso discorso tenuto ad Hyderabad nel gennaio 1953, Nehru disse: “L’India è un paese con una grande varietà di religioni, di tradizioni culturali e di modi di vivere. Con la tolleranza e il rispetto reciproci – come ci ha insegnato il grande Ashoka – dobbiamo fare dell’India una forte, stabile e solidale comunità nazionale”. In una lunga intervista che feci a Indira Gandhi nel novembre 1981, la figlia di Nehru mi spiegò cosa intendesse per laicità. Mi disse: “Il nostro concetto di secolarismo non significa la negazione della religione, bensì un analogo rispetto per tutte le religioni”. L’“hindutva”, l’ideologia dell’Rss, con il suo slogan “Hindu, Hindi, Hindustan” è la negazione di tutto questo.

   

I libri di storia ci dicono come l’India conquistò la libertà grazie alla lotta del suo movimento per l’indipendenza che si batté contro il colonialismo britannico. Parallelamente a questa lotta ce ne fu una seconda che non si concluse nel 1947 ma che continuò nei 70 anni successivi fino ai nostri giorni. Fu la lotta tra una visione laica della nazione, della storia e della cultura indiana che si contrapponeva all’approccio fondamentalista dell’Rss e dei suoi affiliati. Oggi, gli estremisti color zafferano stanno vincendo questa battaglia e l’Hindu Rashtra, la “nazione hindu”, con la sua violenza, il suo fanatismo e le sue discriminazioni, sta diventando ogni giorno che passa una triste realtà.

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