L'economista francese Thomas Piketty (Foto Imagoeconomica)

Quattro tasse, un'assemblea sovrana, nuovi trattati. L'Ue di Piketty (auguri)

Mauro Zanon

L'economista preferito della sinistra francese presenta il suo programma per "democratizzare" l'Unione europea

Parigi. Ogni volta che Thomas Piketty parla, la gauche francese va in sollucchero. E se poi l’economista “frenchie” più citato e coccolato dai progressisti di mezzo mondo sceglie Libération per spiegare in che direzione deve andare l’economia per non lasciarla in mano ai liberali à la Macron, allora è subito “rivoluzione”. Piketty è tornato a far parlare di lui, e solo di lui, sul quotidiano della sinistra progressista parigina, anche se dietro il suo nuovo manifesto per rendere l’Unione europea “più democratica” e “con meno diseguaglianze” (il titolo del documento è “Changer l’Europe, c’est possible!”) c’è il sostegno di un centinaio di intellettuali e responsabili politici. “E’ una situazione disperata”, ha detto a Libération Piketty, osservando l’atomizzazione della sinistra francese, spezzettata in sei liste, dalla France insoumise (Lfi) di Jean-Luc Mélenchon al tandem Ps-Place Publique guidato da Raphaël Glucksmann.

  

 

E allora ecco il suo Trattato di democratizzazione dell’Unione europea (Tdem), attraverso il quale conta di ritagliarsi uno spazio tra Macron e Mélenchon e coagulare quegli elettori che non si riconoscono né nel liberalismo temperato del primo né nelle ricette radicali del secondo. Gli ultimi sondaggi per le europee indicano che l’area situata tra Lrem e Lfi supera a fatica la soglia di sbarramento – soltanto la lista di Glucksmann oltrepassa il 4 per cento – e dunque, per Piketty, potrebbe esserci un varco interessante per pesare a livello elettorale. “Soltanto una modifica del trattato permetterà di uscire dalla regola dell’unanimità e instaurare un modello di sviluppo fondato sulla giustizia fiscale e climatica. Oggi, la France insoumise dice che c’è bisogno di un rapporto di forza per cambiare l’Europa. Sono d’accordo con quest’idea, ma non basta. Va bene dire che si vuole uscire dai trattati, ma sarebbe meglio indicare quali sono i nuovi trattati che si vorrebbe introdurre”, ha spiegato Piketty a Libé.

 

L’idea faro del Tdem è la lotta contro la “concorrenza fiscale” dell’attuale Ue, che, secondo l’economista, ha garantito benefici soltanto alle “classi più abbienti” e agli “attori economici più mobili”, provocando un crollo del potere d’acquisto nelle classi medie e popolari. “Questo progetto ha per ambizione l’instaurazione di una giustizia fiscale in Europa”, afferma Piketty, prima di aggiungere: “È una questione essenziale perché il vecchio disamore delle classi popolari e medie verso l’Europa deriva dal fatto che è organizzata interamente attorno al principio di concorrenza generalizzata tra i paesi, i territori e le persone. La concorrenza fiscale giova anzitutto ai più ricchi, ai grandi patrimoni e agli attori più mobili”.

 

Al posto della regola dell’unanimità, ostacolo, secondo Piketty, a qualsiasi miglioramento dell’Ue, il Tdem prevede la creazione di un’assemblea europea sovrana, formata per l’80 per cento da parlamentari nazionali e per il restante 20 da membri dell’attuale Europarlamento, che avrà competenza per adottare tasse comuni che alimenteranno il cosiddetto “budget per la democratizzazione”. Piketty ne prevede quattro: una sugli utili delle grandi imprese, un’altra sui redditi superiori ai 200 mila euro, una terza sui grandi patrimoni (oltre il milione di euro) e una quarta sulle emissioni di anidride carbonica. Il budget, fissato al 4 per cento del pil europeo, avrà come priorità la transizione ecologica, la formazione, l’innovazione, la ricerca, ma anche l’accoglienza dei migranti. “È l’utopia concreta per uscire dall’Europa del solco tecnocratico”, sostiene Piketty. Il prossimo 12 settembre uscirà il seguito del suo bestseller “Il Capitale nel XXI secolo”. Le edizioni Seuil hanno già anticipato che si chiamerà “Capital et idéologie” e sarà addirittura “più corposo del precedente”.

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