Il discorso del segretario di Stato americano, Mike Pompeo, per il 70esimo anniversario della Nato (Foto LaPresse)

Tutte le questioni aperte che determineranno il futuro della Nato (con qualche risposta)

Andrea Gilli e Mauro Gilli

Il peso del cambiamento tecnologico, i veri numeri dell’impegno americano (in crescita) e la stabilizzazione del mediterraneo. Alleanza in evoluzione

Oggi, settant’anni fa, con la firma del Trattato di Washington, veniva fondata la Nato. I valori su cui questa si fonda – libertà individuale, democrazia, diritti umani e certezza del diritto – rimangono centrali come rimane centrale il suo contributo alla sicurezza internazionale, dall’Atlantico al Baltico, dai Balcani al Medio Oriente, dal Mar Nero all’Afghanistan. È però utile, mentre si guarda sull’oggi anche guardare alle principali sfide di domani.

 

Evoluzione della Nato. La Nato, nel corso dei decenni e anche degli anni passati, si è trasformata e modernizzata. Al recente summit di Bruxelles del 2018, per esempio, la struttura di comando della Nato è stata ulteriormente riformata, con l’aggiunta di un Comando per la logistica a Ulm (Germania) e uno per l’Atlantico a Norfolk (Virginia), oltre a una Cellula Cyber al Comando Operazioni di Shape a Mons (Belgio). Pochi anni fa il quartier generale di Bruxelles ha aggiunto una divisione che si occupa di Intelligence, mentre è di meno recente creazione il Centro di Eccellenza che si occupa di Difesa Cyber a Tallin (Estonia), che ha un ruolo sempre più importante. Negli anni a venire, questo continuo adattamento dovrà proseguire, così da mantenere la struttura organizzativa agile e mantenere centrale il ruolo dell’Alleanza.

 

Impegno americano. Attualmente, uno dei temi più controversi, in sede Nato, riguarda l’impegno americano verso i suoi alleati europei. Stando ad alcuni esperti, gli Stati Uniti avrebbero indebolito il legame transatlantico mettendo in discussione il patto su cui si fonda la difesa comune (“uno per tutti, tutti per uno”). Se si va oltre la retorica, i fatti raccontano una storia diversa. Durante l’Amministrazione Obama, gli Stati Uniti stanziarono un miliardo di dollari per la sicurezza del Fronte Orientale (con la European Reassurance Initiative, ERI), quello minacciato dall’aggressività russa. Nell’ultimo bilancio dell’èra Obama, i fondi vennero addirittura ridotti a 800 milioni. Negli anni passati, i fondi stanziati per ERI sono stati 3,4 miliardi di dollari nel 2017, 4,7 miliardi nel 2018 e addirittura 6,5 miliardi nel 2019.

 

Burden-sharing. L’altro tema caldo, e parallelo, riguarda la condivisione dell’onere della difesa comune. Nel summit del Galles del 2014, avvenuto all’indomani della guerra in Ucraina, i paesi Nato si sono impegnati a spendere il 2 per cento del pil in difesa, con allegato 20 per cento da allocarsi alla modernizzazione. La critica ricorrente è che molti paesi non facciano abbastanza. Da allora, però, la spesa in difesa dei paesi Nato è aumentata e così è aumentata la quota allocata alla modernizzazione. Nel 2014, la spesa in difesa dei paesi Nato in Europa e Canada ammontava a 272 miliardi di dollari. Nel 2018 si è saliti a 312 miliardi. Nel futuro, però, la vera sfida consiste probabilmente nel fare un passo ulteriore. Parametri di questo tipo sono semplici da identificare ma non molto indicativi. Il processo di pianificazione militare della Nato dovrebbe quindi orientarsi verso parametri più concreti, legati a chiari obiettivi politico-militari, tenendo in considerazione tanto le minacce quanto le capacità necessarie, individualmente o collettivamente.

 

Innovazione e cambiamento tecnologico. Pochi giorni fa è morto Andrew Marshall, lo stratega americano che dall’Office of Net Assessment del Pentagono ha dato consigli a tutti i presidenti dal 1973 al 2014, da Nixon a Obama, influenzandone piani e strategie. Marshall è famoso, tra le altre cose, per aver previsto gli effetti della rivoluzione informatica sui campi di battaglia (negli anni ’70) e l’ascesa cinese (a fine anni ’80). La sua storia ci ricorda che il cambiamento tecnologico è un’opportunità. La sfida, per la Nato, consiste nel capire, gestire e sfruttare il cambiamento tecnologico e permettere che tutti i suoi membri ne traggano benefici in termini di sicurezza e difesa. Quando parliamo di intelligenza artificiale, machine learning e big data o di fisica quantistica, attacchi cyber e stormi di droni autonomi parliamo di condivisione di intelligence, di crittologia, e di difese antiaeree: tutti temi su cui la Nato è e vuole rimanere rilevante. Che ruolo può giocare, però, su questi temi: è in grado di aiutare a far cooperare aziende commerciali e apparati di difesa e di aiutare a gestire l’assenza di personale specializzato in cyber?

 

Alleanza Atlantica in un mondo a trazione pacifica. Quando si parla di tecnologia, il grande tema di questi giorni sono le infrastrutture 5G e il ruolo centrale delle aziende cinesi. Ciò apre domande e interrogativi molto più ampi. In primo luogo: la Nato dovrebbe avere una posizione, e quale, sul 5G e più in generale sulla tecnologia commerciale? Il Centro di Eccellenza di Tallin, citato sopra, ha pubblicato un’interessante ricerca pochi giorni fa, a firma di Kadri Kaska, Tomas Minarik e Henrik Beckvard. A detta degli autori, il dibattito su 5G solleva questioni strategiche, non solo tecnologiche, su cui i paesi Nato dovrebbero ragionare insieme. Questa discussione, però, evidenzia un altro aspetto. Il mondo è sempre più a trazione pacifica: quale spazio, e ruolo, dunque dovrebbe ritagliarsi l’Alleanza Atlantica? Non c’è risposta giusta o sbagliata, ma ogni scelta ha implicazioni importanti, a partire dalle missioni e operazioni da privilegiare così come partnership da aprire o rafforzare.

 

L’Allargamento e il Mediterraneo. Quando si parla di partnership e Nato inevitabilmente si parla di Mediterraneo. Gran parte dei paesi della sponda sud sono infatti partner dell’Alleanza. Partnership significa dialogo, cooperazione, scambi, e sviluppo di capacità. Se l’aggressività russa ha rifocalizzato gli sforzi della Nato su difesa e sicurezza, terrorismo e instabilità hanno impegnato i suoi membri per quasi tutto il passato quarto di secolo. La Russia, lo sappiamo, è in declino. Quale ruolo dovrebbe avere la Nato in un’epoca di migrazioni di massa, urbanizzazione e terrorismo?

 

Andrea Gilli è Senior Researcher al Nato Defense College di Roma. Mauro Gilli è Senior Researcher al Center for Security Studies del Politecnico di Zurigo (ETH-Zurich). Le opinioni espresse sono personali e non riflettono le posizioni ufficiali della Nato, del Nato Defense College o di altre organizzazioni con cui gli autori lavorano o hanno lavorato.

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