L'Isis non finisce qui

Daniele Raineri

Sarà meglio non confondere lo sgombero di una tendopoli siriana con gli ultimi giorni dei terroristi

Roma. La cosiddetta fine dello Stato islamico in Siria non assomiglia per nulla a una fine, anzi è una prova molto chiara che quello che sta succedendo in questi giorni al gruppo terroristico non è la fine. Da cinque settimane la frazione più piccola dello Stato islamico è assediata in una tendopoli di circa un chilometro quadrato vicino Baghouz, un paesino di pochi edifici nella Siria orientale. I fanatici hanno davanti le milizie curdo-arabe e dietro il fiume Eufrate e il confine con l’Iraq, molto sorvegliato dai soldati iracheni per impedire infiltrazioni. La parte più grande dello Stato islamico è fuori e lontana da quell’assedio e si è sparpagliata in tante cellule segrete che continuano a montare centinaia di attacchi al mese in entrambi i paesi. A metà febbraio era sembrato che a Baghouz gli ultimi assediati dello Stato islamico che da anni difendono un territorio sempre più piccolo e sono incalzati dalle milizie e dagli aerei americani avessero deciso di capitolare. Gli scontri erano cessati di colpo e centinaia di famiglie dello Stato islamico avevano cominciato ad attraversare la piccola terra di nessuno tra la tendopoli e i curdo-arabi e a consegnarsi. Tuttavia sono passate tre settimane e la capitolazione vera ancora non c’è stata.

 

Gli scontri e i bombardamenti aerei sono ripresi e all’interno della piccola tendopoli lo Stato islamico ancora tiene sotto controllo la situazione come se non fosse sull’orlo della perdita simbolica del suo ultimo pezzettino di territorio. Associated Press ha parlato con gli ultimi civili che sono fuoriusciti e con i guidatori dei camion che grazie a un accordo fra le parti possono fare la spola tra i due lati del fronte per trasportare la gente che s’arrende senza essere colpiti. L’evacuazione è controllata dai combattenti con estrema disciplina, la hisba – la polizia dello Stato islamico – regola ancora ogni movimento, una donna che tardava troppo a salire su un camion è stata colpita da un “poliziotto” con un taser – il dispositivo che infligge una scossa elettrica molto dolorosa a distanza – e poi è stata fatta rialzare con un paio di colpi di fucili sparati nel terreno a qualche spanna dal corpo.

  

 

La distribuzione degli alloggi e del cibo, la separazione tra uomini e donne e il trasferimento di denaro dall’esterno sono andati avanti fino a quando è stato possibile, secondo un sistema che gli inglesi definirebbero di soft failure: i servizi sono sempre meno efficienti ma non cessano del tutto. I combattenti ricevono il cibo e le cure migliori perché hanno il ruolo più importante, alle donne da qualche giorno arrivavano soltanto datteri, poi più nulla tranne che per quelle che allattano. Due giorni fa lo Stato islamico non ha emesso alcun comunicato ed è un fatto rarissimo, ma ieri ha ripreso a lanciarli di nuovo – di solito questi “giorni zero” anomali per un gruppo che ogni giorno fa uscire decine di dichiarazioni sono il segno che le cellule esterne che si occupano di spargere la propaganda si sono spostate in una nuova posizione, hanno ricevuto istruzioni e possono trasmettere di nuovo senza problemi. La disciplina è ancora integra: le donne parlano di una sconfitta temporanea, preludio a un ritorno glorioso del Califfato, gli uomini si consegnano ai curdi perché sanno che fra tutti i loro nemici sono i meno inclini a esecuzioni sommarie e vendette di massa. Preghiere e regole sono rispettate come se non ci fosse una battaglia a pochi metri. Un leader dello Stato islamico che aiutava le famiglie a fuggire è stato ucciso, un combattente che sosteneva la necessità di una resa più veloce è stato fucilato sul posto. Se il gruppo assediato è ancora così organizzato e disciplinato in una situazione che è l’equivalente della caduta di Berlino nel 1945 figurarsi quelli che sono a piede libero. Non è possibile parlare di fine, ma soltanto di transizione a una nuova fase.

   

Gli assedianti si aspettavano che nel campo ci fossero ancora poche centinaia di assediati, ma ora i numeri sono più alti – le Forze siriane democratiche parlano di migliaia di prigionieri e non più di centinaia, e fra loro molti stranieri. È una sorpresa poco spiegabile, se si considera che il campo è tenuto d’occhio da droni e aerei da ricognizione e che quel luogo a ottobre era in mano ai curdi, quindi è difficile che ci siano bunker e tunnel come in altri luoghi assediati. Un giornalista turco sul posto ieri osservando il lento arrivo degli arresi, che si fanno identificare e perquisire, ha visto una donna finlandese e i suoi quattro bambini, due donne francesi, un norvegese, due olandesi, indonesiani, filippini, bosniaci, ceceni, afghani, turchi, molti russi e tanti iracheni. Una Babele in disfacimento di cui si devono occupare i curdi a tempo indefinito, perché rifiutano di applicare la soluzione “Città vecchia di Mosul” – quindi un bombardamento massiccio che uccise migliaia di assediati – e però non ricevono indicazioni dai governi, che hanno pochissima voglia di riprendersi i combattenti e le loro famiglie e sottoporli a processo. Forze speciali americane, francesi e inglesi sono lì per guidare i bombardamenti e cercare leader del gruppo nella massa degli evacuati. Si parla molto della presenza di ostaggi occidentali ancora in vita, ma il portavoce delle Sdf dice che non c’è alcuna informazione certa.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)