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Hard Europe: il negoziato che sogna la May è già finito

David Carretta

L’Ue gela il governo inglese sulla Brexit, il dialogo sul backstop non si riapre. Il no deal sembra ormai il male minore

Bruxelles. Nigel Farage, l’ex leader dell’Ukip britannico pronto a fondare un nuovo partito se ci sarà un secondo referendum sulla Brexit, ha accusato Jean-Claude Juncker e Michel Barnier di essere dei “fanatici” incapaci di fare “un compromesso” con il governo di Theresa May. Il presidente della Commissione e il caponegoziatore dell’Ue avevano appena confermato davanti all’Europarlamento che l’accordo Brexit concluso a dicembre “non sarà rinegoziato”, sbattendo la porta in faccia alla May e alla Camera dei Comuni, che martedì ha dato mandato al premier di tornare a Bruxelles per modificare l’intesa e trovare “soluzioni alternative” al backstop. Il Parlamento di Londra “è contro molte cose”, ma “non ha un piano”, ha detto Juncker. Le “soluzioni alternative” al backstop, che serve a evitare il ritorno della frontiera “hard” tra Irlanda e Irlanda del nord, sono già state testate durante i 18 mesi di negoziati. Ma nessuna funziona a causa delle linee rosse fissate dalla stessa May sull’uscita dall’unione doganale e dal mercato interno. L’Ue è pronta a “lavorare” sulle soluzioni alternative al backstop, come chiesto dai Comuni, ma solo “dopo la firma dell’accordo di ritiro”, ha spiegato Barnier, rinviando la palla nel campo di Londra. Rimane che mancano 57 giorni alla Brexit. Il voto dei Comuni martedì “ha accresciuto il rischio di un ritiro disordinato del Regno Unito”, ha avvertito Juncker: “Dobbiamo continuare a fare tutto il possibile per prepararci a ogni scenario, compreso il peggiore”.

  

L’Unione europea continua a fare sul serio nei confronti del Regno Unito. Tra irritazione, stanchezza ed esasperazione, ha deciso di irrigidire la sua posizione nei confronti della May. In parte è tattica: la cancelliera tedesca, Angela Merkel, si è ormai convinta che i britannici debbano vedere la profondità dell’abisso per cambiare idea e dare il loro assenso all’accordo sulla Brexit. Lasciar correre l’orologio è un rischio calcolato per l’Unione europea. In molti a Bruxelles e nelle capitali dei Ventisette si sono convinti che il “no deal” sia in fondo un male minore rispetto a cedere sui princìpi o a concedere una proroga ai negoziati.

  

La Commissione ieri ha fatto un ulteriore passo per prepararsi al “no deal” presentando una seconda serie di misure d’emergenza per tutelare gli studenti Erasmus, i lavoratori europei che hanno acquisto diritti pensionistici nel Regno Unito e i beneficiari britannici di fondi europei. Se il Regno Unito vuole che i suoi agricoltori e ricercatori ricevano i fondi già stanziati per il 2019, dovrà accettare di versare la sua quota al bilancio comunitario per l’anno in corso anche in caso di uscita senza accordo. “Con le misure di emergenza cerchiamo di mitigare gli effetti peggiori” di un no deal, spiega una fonte dell’Ue. La Commissione è convinta che i 27 possano reggere l’impatto. I settori vitali per l’economia, come i trasporti aerei o le Ccp Houses britanniche che intermediano i titoli derivati dell’Ue, sono stati protetti dalla prima serie di misure di emergenza presentate in dicembre. Anche l’ipotesi di rinviare la Brexit oltre il 29 marzo non è più scontata. Il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, martedì sera ha fatto sapere che un’eventuale richiesta di proroga dell’articolo 50 dovrà essere motivata. I 27 decideranno all’unanimità “tenendo conto delle ragioni e della durata” della proroga, così come della “necessità di assicurare il funzionamento delle istituzioni dell’Ue”, ha detto il portavoce di Tusk. In altre parole, per evitare una Brexit accidentale il 29 marzo non basteranno l’annuncio di elezioni anticipate o l’incapacità della Camera dei Comuni a trovare una maggioranza. “Votare per il no deal non elimina il rischio di no deal”, ha avvertito Barnier.

 

Per uscire dallo stallo restano poche possibilità. Barnier ha ribadito che l’Ue è pronta a modificare la dichiarazione politica sulle relazioni future: se il Regno Unito dovesse accettare di restare nell’unione doganale e nel mercato interno, il backstop non sarebbe più necessario. Ma i brexiteers continuano a sperare che i 27 si spacchino. “L’Ue ha molto più da perdere di noi che sia l’Irlanda o altro”, ha detto l’ex ministro per la Brexit, David Davis. Molti a Londra sognano un intervento della Germania. “Le imprese tedesche hanno preoccupazioni maggiori, per esempio che una hard Brexit disordinata alla fine di marzo possa portare a turbolenze economiche significative tra il Regno Unito e il resto d’Europa”, ha spiegato ieri il ministro dell’Economia della Merkel, Peter Altmaier. Il governo di Berlino è determinato a “fare tutto quello che può per prevenire una Brexit disordinata”. Davis scommette su un accordo “all’ultimo minuto”, ma rischia di perdere per l’ennesima volta i suoi soldi. Spaccare l’Ue e minare la sua credibilità è un prezzo che la Merkel non è disposta a pagare.

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