L'attore Benedict Cumberbatch interpreta Dominic Cummings, lo stratega della campagna per il Leave (Immagini prese da Youtube)

Nello specchio del film sulla Brexit si vede l'autolesionismo collettivo

Cristina Marconi

“The Uncivil War” su Channel 4 racconta le trovate geniali (tra sgabuzzini e libri sulla paternità) per buttare giù un paese

Londra. Se lo sono visto anche in Parlamento, “Brexit – The Uncivil War”, il film per Channel 4 in cui Benedict Cumberbatch interpreta Dominic Cummings, lo stratega della Brexit, quello che si è inventato uno slogan trivellante come “Take back control” e che, dati alla mano, ha costruito una campagna perfetta e vincente, tagliata su misura per un elettorato già ammorbidito da vent’anni di propaganda dei tabloid. È difficile fare il post mortem di una storia ancora aperta, ma il trentaseienne James Graham, autore che già si è occupato di alcuni dei punti più controversi della psiche nazionale come Margaret Thatcher, Tony Blair e Rupert Murdoch, riesce bene nel suo intento di mettere una classe politica davanti allo specchio, facendole ripercorrere in 90 minuti il modo in cui ha spinto il paese a praticare un grave atto di autolesionismo collettivo.

 

Peter Mandelson ha trovato il film “straordinario”, mentre per Matthew Elliott, direttore esecutivo della campagna per il leave e presente nel film in versione molto secchiona e innocua, è stata un’esperienza “catartica e divertente” rivivere il pathos di quei giorni. Dal fronte di Leave.Eu, lobby rivale più ruspante e sovranista, in molti si sono lamentati: anche se l’indipendentista Nigel Farage e il milionario finanziatore Arron Banks sono molto meno caricaturali degli originali, quello che non è piaciuto è lo sguardo critico, l’ombra di dubbio e di coscienza che il film allunga sia sui brexiteers senza scrupoli sia sui remainers senza denti e senza idee. Non si seguono le grandi macchinazioni di palazzo alla “House of Cards”, bensì i ragionamenti della mente di Cummings, ex spin doctor di Michael Gove, definito “psicopatico carrierista” da David Cameron.

 

Cumberbatch interpreta il personaggio dandogli lo stesso gusto della scoperta di quando faceva Alan Turing o Sherlock Holmes, solo che in “The Uncivil War” il risultato dell’equazione è buttare giù un paese a colpi di trovate geniali. Non immagina di riuscirci davvero, Cummings, e quando uno squilibrato con simpatie naziste uccide Jo Cox al grido di “Britain first” iniziano i dubbi e i rimorsi. Ma la gioiosa macchina da guerra è partita, la rivalità con Banks e Farage è avviata e le due primedonne Michael Gove e Boris Johnson, talvolta a disagio con le semplificazioni grossolane che sono costretti a dire – “Turchia e 350 milioni al sistema sanitario, ripetete con me!” -, sono felici di cavalcare l’onda di una campagna inarrestabile.

 

Ci sono i vecchi euroscettici donchisciotteschi, che hanno dato fastidio e non hanno mai vinto, mentre Cummings, con la sua beautiful mind e i suoi brevi ritiri spirituali in uno sgabuzzino, usa tutto l’arsenale a disposizione. Come Turing scrive cose sulla lavagna, si emoziona davanti alla trovata, come quel “back” che inserisce tra “take” e “control” dopo aver letto un manuale sulla paternità. “C’è un fallimento del sistema in questo paese e in tutto l’occidente. Stiamo languendo, stiamo andando alla deriva senza una visione o un obiettivo”, secondo Cummings-Cumberbatch, che racconta a se stesso di aver provato a premere il bottone “reset”, mentre la classe politica, quella stupida, ha solo “riavviato lo stesso sistema operativo, la stessa stanca vecchia politica del breve termine e della spazzatura autoriferita di vedute strette”.

 

Come se dal mare di bugie della Brexit fossero potuti nascere i fiori invece che, guarda un po’, più letame. L’interpretazione degli incubi serve a spiegare come l’immigrazione sia diventata il pilastro di tutto, anche se Cummings non voleva, o così il film ci racconta, salvo cambiare idea quando dalle chiacchiere al pub con l’elettorato negletto salta fuori sempre e solo quel tema. Era stato già tutto scritto in un libro, “All Out War” di Tim Shipman del Sunday Times, ma come osservato dall’angelica indignata cronica Lucy Mangan sul Guardian l’unica cosa in cui i britannici saranno autosufficienti nei prossimi decenni sarà il dramma politico.

Di più su questi argomenti: