Non siamo solo un'isola, siamo parte di qualcosa di grande

Paola Peduzzi

La quotidianità è contaminazione globale. La pubblicità di una banca ricorda agli inglesi (e a noi) le falsità isolazioniste

Milano. Da martedì sera i londinesi hanno iniziato a lasciare sui sedili della metropolitana, degli autobus e dei taxi la sovracopertina dell’Evening Standard, il giornale del pomeriggio del Regno Unito, tutta bianca e con una scritta: “Non siamo un’isola, siamo parte di qualcosa di molto, molto più grande”. Un messaggio semplice e potente, che è una campagna pubblicitaria – della banca Hsbc – ma è molto, molto di più: è la sintesi di cosa vuol dire seguire un istinto isolazionista e ritrovarsi all’improvviso soli.

 

 

Hsbc ha lanciato questa campagna la settimana scorsa, è la seconda parte dell’iniziativa nata un anno fa al grido “Together we thrive”, insieme si prospera, si cresce bene, si cresce floridi: c’è una versione per ogni città importante – quella di Manchester è straordinariamente bella, dice che la città ha insegnato al mondo un mucchio di cose, soprattutto a “don’t look back in anger”, come cantano gli Oasis – ed è un inno a non sentirsi soltanto abitanti di una casa, di un quartiere, di una città, ma parte di qualcosa di grande, che è il mondo con le sue contaminazioni.

 

La globalizzazione, vituperata causa di tutti i mali odierni, è anche e soprattutto lotta alla solitudine, perché è vero che nell’aperturismo totale qualcuno è rimasto indietro, e soffre ed è rabbioso e vuole riprendersi indietro il controllo del proprio paese e dei propri confini (come se questo significasse riprendersi indietro il controllo della propria vita), ma è anche vero che da soli non si sta bene e nulla è più conveniente. Basta guardare le proiezioni anche più caute della Brexit per vedere dei meno davanti a ogni numero, senza contare le riserve di medicinali da tempo di guerra o le simulazioni (fallimentari) di camion con prodotti reperibili da far arrivare comunque in tempo. La Brexit non conviene anche se le favole su una formula magica ancora da scoprire continuano a riempire cuori e menti. Ma Hsbc e l’Evening Standard, diretto dall’ex cancelliere dello Scacchiere conservatore George Osborne, che ha ospitato anche pubblicità enormi del People’s Vote, s’appigliano all’indefesso spirito isolano e lo ribaltano: non siamo solamente abitanti di un’isola. 

 

  

Pensate a dove sono state fatte le suole delle vostre scarpe – dice la pubblicità di Hsbc nella parte interna, a caratteri neri e grandi – o da dove viene la musica che ascoltate dalle vostre cuffiette vietnamite: beviamo caffè colombiano, guardiamo film americani, applaudiamo calciatori argentini, mangiamo il curry, “siamo uno splendido pezzo di terra nel mezzo del mare”, parte di qualcosa di molto, molto più grande, “insieme, non siamo soltanto un’isola”.

 

Le critiche sono arrivate impietose, stiamo pur sempre parlando di una banca, di finanza e capitalismo: c’è chi si è rallegrato di non avere un conto lì, chi ha detto, da brexiteer convinto, che una messa in scena ideologica di questa portata non si era mai vista (senso del ridicolo salvaci tu), chi ha detto che sì, siamo parte di qualcosa di molto più grande, quindi Europa scansati, il mondo ci aspetta. Tutto prevedibile insomma, il rimpianto di qui, la sicumera divorzista di là, in mezzo i tentativi di ripensarci, di reinterrogarsi, di combattere, isola e isolazionismo non sono sinonimi. Cambia poco se non il giorno del calendario, ed è appena un po’ ironico che sulla pagina bianca di Hsbc ci fosse in alto il richiamo a un articolo dell’Evening Standard anch’esso sintesi feroce di questi due anni di tormenti post referendari: “May perde il controllo sui ribelli pro remain”.

 

La premier, Theresa May, ha perso il controllo un po’ su tutti, falchi brexiteers, europeisti, compagni di partito e di governo, opposizione: in Parlamento, dove ieri è iniziato il dibattito sull’accordo siglato con l’Unione europea che sarà votato il 15 gennaio, non c’è maggioranza per nessuna ipotesi, che sia il deal della May, il no deal o il secondo referendum. La May ha ribadito che, piaccia o no, il 29 marzo ci sarà la Brexit, non illudetevi, l’alternativa all’accordo con l’Ue è nessun accordo, catastrofe annunciata. Il Labour continua con il suo tatticismo opportunista, vuole far cadere questo governo, riaprire il negoziato e condurlo con il piglio di Jeremy Corbyn, piglio brexitaro, non si torna indietro, ma intanto un emendamento passato ieri ha introdotto un’altra variabile che sa di incertezza e di confusione e di grida invero poco istituzionali. Se l’accordo della May sarà bocciato martedì prossimo, il governo avrà soltanto 3 giorni di sedute (e non i 21 precedentemente previsti) per presentare un piano B. Il tempo non c’è, e questo si sapeva, ma nella corsa si è visto di tutto, soprattutto ieri ai Comuni dove ci sono state urla e minacce più acute del solito. Il conservatore Ken Clarke, che ha votato a favore dell’emendamento, ha detto ai colleghi vocianti “mettetevi un gilet giallo e andatevene fuori” assieme al gruppo di manifestanti che già aveva attaccato i parlamentari di passaggio. Il gilet giallo come simbolo della protesta antiliberale, l’isolazionismo come impoverimento: questa non è soltanto una storia britannica, è la dimostrazione che anche l’Ue è molto, molto più grande della somma burocratica dei suoi stati membri.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi