Frans Timmermans (foto LaPresse)

Perché Timmermans sarà la vittima sacrificale della sinistra europea

Luca Gambardella

Il vicepresidente della Commissione si candida per il Pse nella corsa alla presidenza. Un tempo "stella nascente" di Bruxelles, oggi l'olandese ha attirato soprattutto antipatie

Dopo lo slovacco Maroš Šefčovič c’è un nuovo candidato del Partito socialista europeo alla guida della Commissione Ue. Si tratta dell’altro vicepresidente, Frans Timmermans, che ha ottenuto il sostegno della Partito socialdemocratico tedesco (Spd). Con ogni probabilità, l’olandese otterrà l'appoggio di gran parte dei partiti socialisti europei e il prossimo dicembre potrebbe essere proprio lui il candidato prescelto dal Pse.

  

L’attuale vicepresidente della Commissione ha annunciato la sua candidatura come Spitzenkandidat – il sistema con cui si elegge il presidente della Commissione Ue – dalla terrazza di un bistrot di Heerlen, in Olanda, con un discorso tenuto rigorosamente in lingua olandese. Il suo nome circolava già da diverse settimane e stamattina Politico Europe aveva intercettato una lettera inviata dalla leader dell’Spd, Andrea Nahles, al presidente del Pse Sergei Stanishev e al tesoriere Ruairi Quinn. “Sono convinta che Frans Timmermans unifichi e rafforzi la famiglia del nostro partito europeo e che l’anno prossimo ci guiderà verso un forte risultato comune per il Parlamento europeo”, ha scritto Nahles nel suo messaggio al Pse. A sostegno di Timmermans non ci sarebbero solo i tedeschi ma anche altre forze della sinistra europea. Per candidarsi alla guida della Commissione serve il consenso del partito nazionale d’appartenenza – nel caso di Timmermans del Partito laburista del PvdA – e il sostegno di almeno altri otto partiti di altri paesi. Il nome su cui punterà il Pse sarà annunciato al Congresso del prossimo dicembre a Lisbona.

    

 

Figlio di diplomatici, poliglotta e braccio destro dell’attuale presidente Jean-Claude Juncker, Timmermans era considerato fino a qualche tempo fa “l’astro nascente” del Berlaymont e possibile guida della Commissione Ue. Finché, dopo il voto britannico sulla Brexit del marzo 2016, la crisi della Commissione Juncker non ha finito per trascinare con sé anche il suo vice. Il presidente scelse il francese Michel Barnier alla guida del team negoziale dell’Ue, un ruolo che inizialmente era stato promesso proprio a Timmermans. Dopo le dimissioni da vicepresidente di Kristallina Georgieva in seguito agli attriti con il capo di gabinetto Martin Selmayr – la sua è un’influenza “tossica”, aveva detto la Georgieva – Timmermans è stato testimone impotente della scalata di Selmayr alle gerarchie di Juncker.

  

La parabola discendete di Timmermans – culminata in patria con il pessimo risultato conseguito dal suo partito alle elezioni dello scorso anno – è continuata attirando antipatie da una parte all’altra dell’Europa. Spinto in prima linea dallo stesso Juncker, fu Timmermans a cercare di mediare con la Polonia per convincere il governo di Varsavia a tornare sui suoi passi e a ritirare la controversa riforma della giustizia. Fu sempre lui a schierarsi al fianco di Madrid sulla questione dell’indipendenza della Catalogna. All’Europarlamento, invece, è visto come il volto di una Commissione Ue giudicata troppo politicizzata. Includere nel suo portafoglio missioni diplomatiche al limite dell’impossibile non ha aiutato Timmermans a farsi troppe amicizie. “Viste le responsabilità che Juncker mi dà, penso di essere un utile strumento nelle sue mani”, aveva commentato l’olandese. Il dubbio di molti membri del Pse è che tutti questi anni di lento logoramento non abbiano oscurato “l’astro nascente” di Bruxelles al punto da marchiarlo come probabile vittima sacrificale dei socialisti alle prossime elezioni europee.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.