Martin Selmayr (immagine di Youtube)

Il caso Selmayr mette in moto i meccanismi del rimpasto in Commissione

David Carretta
Non solo crisi dei rifugiati, sconfitta sulla Brexit, veto della Vallonia sul Ceta. Perché il sintomo della crisi che sta attraversando l’esecutivo Juncker è l'egemonia del suo capo di gabinetto.

Bruxelles. A due anni dalla sua entrata in funzione, la Commissione “dell’ultima chance” di Jean-Claude Juncker rischia di implodere a causa delle ripetute débâcle politiche e del ruolo egemone del suo capo di gabinetto, Martin Selmayr. L’ultimo sintomo della crisi che sta attraversando l’esecutivo comunitario è la decisione della sua vicepresidente per il Bilancio e l’Amministrazione, la bulgara Kristalina Georgieva, di accettare un nuovo lavoro alla Banca Mondiale a causa di un conflitto con Selmayr e della delusione provocata dai numerosi fallimenti della Commissione. Crisi dei rifugiati, sconfitta sulla Brexit, veto della Vallonia sul Ceta: lo zampino di Selmayr è rintracciabile in tutti i grandi dossier che fanno tremare l’Unione europea.

 

Secondo Politico.eu, Georgieva avrebbe considerato “tossica” l’influenza di Selmayr. Sui migranti, il capogabinetto di Juncker ha orchestrato la politica delle relocation infattibili per i paesi del sud e inaccettabili per quelli dell’est. Sulla Brexit, ha puntato tutto su un “freno d’emergenza” sui migranti europei che è stato ininfluente nel dibattito sul referendum. Sull’intesa commerciale con il Canada, ha imposto alla commissaria Cecilia Malmström di accettare la natura mista dell’accordo e la ratifica dei parlamenti nazionali e regionali, che ha quasi portato al collasso del Ceta. “Juncker ha un problema Selmayr”, dice una fonte comunitaria. Il caso Georgieva dimostra che la leadership di Juncker è “debole e si sta indebolendo ulteriormente”, spiega al Foglio Ramon Tremosa, eurodeputato liberale eletto in Catalogna. Risultato: una serie di mini rimpasti tra Berlino e Bruxelles potrebbe propiziare un grande rimpasto della Commissione, presidente compreso.

 

Il gioco delle sedie musicali ai vertici dell’Ue scatterà in gennaio, quando l’Europarlamento dovrà scegliersi un nuovo presidente per i prossimi due anni e mezzo, con potenziali effetti a cascata sui presidenti del Consiglio europeo (il polacco Donald Tusk scade a giugno) e della Commissione (Juncker dovrebbe restare altri 3 anni, ma soffrirebbe di problemi di salute). All’Europarlamento l’uscente Martin Schulz, tedesco e socialista, ha imbastito una fenomenale campagna per un terzo mandato che non ha precedenti nell’Assemblea di Strasburgo. Ha il sostegno di una parte dei governi socialisti (Italia compresa): Tusk e Juncker sono popolari e un’uscita di Schulz altererebbe l’equilibrio della grande coalizione facendo pendere i vertici Ue troppo a destra. Ma i movimenti interni alla politica tedesca offrono a Schulz anche la possibilità di rimpatriare.

 

A Berlino il ministero degli Esteri potrebbe liberarsi a marzo 2017, se la candidatura socialdemocratica di Frank Walter Steinmeier alla presidenza della Repubblica federale andrà in porto. In Germania si vocifera di un cambio nella Spd, con Schulz che dovrebbe prendere il posto dell’impopolare leader Sigmar Gabriel. Per il presidente uscente dell’Europarlamento c’è anche la possibilità di un paracadutaggio brussellese: il sostituto scelto da Juncker per Georgieva, il commissario tedesco Günther Oettinger, è in bilico per un discorso pronunciato mercoledì 26 ottobre ad Amburgo nel quale ha usato parole razziste e offensive nei confronti di una delegazione ufficiale della Cina, delle donne, degli omosessuali e della Vallonia.

 

Ieri Juncker ha accettato la spiegazione data da Oettinger a Die Welt (“gergo grossolano”) rifiutando di prendere provvedimenti. Come nel caso Selmayr, legandosi a doppio filo con Oettinger, Juncker rischia di cadere con lui o di minare fatalmente la sua Commissione. Il Ppe rivendica per sé lo scranno dell’Europarlamento (il francese Alain Lamassoure è il favorito tra i popolari) in virtù di un accordo firmato a inizio legislatura con Schulz. Tusk non è appoggiato dal governo polacco, ma ha la fiducia della cancelliera Angela Merkel. Per contro, “dentro il Ppe sono riemerse le voci che rimettono in discussione Juncker”, dice una fonte dei popolari. Il primo vicepresidente della Commissione, il socialista olandese Frans Timmermans, è considerato la scelta naturale per subentrare in caso di partenza anticipata di Juncker.