Emmanuel Macron (foto LaPresse)

Piazziamoci qui e vediamo chi arriva. Macron, il “new centrism” e i mostri carini

Paola Peduzzi

Ma esiste davvero il centro moderato in Europa?

Milano. Lo Spectator mette i due contendenti europei in copertina, i leader di due Europe, da un lato Emmanuel Macron, affilato, che guarda dall’alto in basso, con una tunica bianca e i calzari, avvolto nella bandiera europea e la spada pronta; dall’altro Matteo Salvini, sguardo rabbioso, la clava, la bandiera europea come la gonnella di un barbaro. Ci si gioca il continente in questo scontro, non una cosuccia, e l’autore dell’articolo dello Spectator, Christopher Caldwell, parte dall’antipatia personale tra i due leader per poi raccontare uno scontro ideologico profondo, inarrestabile, si sta di qui o si sta di là, perché se stai in mezzo alla strada, come diceva la Thatcher, sei rovinato: ti arrivano addosso le auto da destra e da sinistra, vanno in direzioni opposte. Caldwell vede in Salvini capacità straordinarie, dice che l’approccio soft nei confronti dell’immigrazione – curiamo le cause – non funzionerà, e bisogna attrezzarsi per combattere sul terreno dei populisti senza finire per assomigliare a loro. Macron parla in nome delle istituzioni globali, che restano “forti e persuasive”, e ha la fortuna di farlo in un posto, la Francia, in cui si respira “un’aria più fresca” di quella che c’è in America o nel Regno Unito. A decidere sarà infine il popolo, alle elezioni europee della primavera del prossimo anno: che Europa volete, quella affilata e ordinata e democratica o quella rabbiosa con la clava che tiene lontani gli stranieri? E soprattutto: in che modo convincerete gli elettori a stare di qui, o di là?

 

Macron guida il fronte della resistenza liberale. Ha il progetto di rifondare l’Europa, ma la situazione interna non brillante, l’appoggio freddino che ha avuto dalla Germania della Merkel su alcune riforme e l’avvio un po’ claudicante del suo progetto di esportare l’idea di En Marche! in Europa gli hanno rallentato il passo. La Francia vuole formare una nuova famiglia europea progressista, attirando a sé i conservatori che non stanno seduti comodi allo stesso tavolo dell’ungherese Orbán nel Ppe – da che parte state, ha chiesto ieri Macron, non potere essere con la Merkel e con Orbán allo stesso tempo – e, dall’altra parte, le sinistre che con i Mélenchon radicali hanno lo stesso tipo di imbarazzo. I macroniani non vogliono sentir parlare di Sptizenkandidat, per loro non è una questione di leadership – non vogliono mettersi a litigare al giorno uno con gli eventuali nuovi arrivati – ma di idee: accordiamoci su tre o quattro progetti, e andiamo in battaglia. Ma al momento la forza di attrazione non si è ancora vista, ci sono accordi con il Pd italiano e con Ciudadanos in Spagna, ma nulla di concreto, se non un prevedibile allineamento ideale.

 

E’ presto, dicono molti: anche En Marche! a otto mesi delle presidenziali in Francia viaggiava su percentuali a una cifra e poi, al momento decisivo, ha esercitato tutta la sua capacità di attrazione. Ma c’è anche un problema più strutturale, che ha a che fare con il punto da cui si prova a far funzionare la calamita: il centro moderato. Esiste? Alla fine di agosto, Jack Shenker, giornalista inglese che è al lavoro su un saggio sulla trasformazione politica in corso (si intitolerà “Now We Have Your Attention: Inside the New Politics”), ha scritto sul New York Times che il centro non salverà il Regno Unito, e nessun altro paese. Non c’è attrattiva, non c’è cuore, non c’è muscolo lì in mezzo, si cerca di imbellettare idee scadute, e non ce ne sono di nuove. Ieri il Partito liberaldemocratico britannico ha annunciato di voler lanciare un “Momentum per moderati”, prendendo spunto dal movimento di attivisti che ha portato Jeremy Corbyn alla guida del Labour, e lo tiene saldo al suo posto. Ma già il fatto di ispirarsi all’intuizione dei rivali radicalissimi ha fatto storcere il naso: pure i Tory ci hanno provato, ne è venuta fuori una brutta copia, quasi ridicola.

 

Il “new centrism”, come viene chiamato, parte con molti svantaggi, un po’ storici e un po’ attuali, e con quell’aura da mostro creato in laboratorio che non può avere successo, può soltanto spaventare. Ma in questo cortocircuito che è diventata la politica occidentale, gli svantaggi possono trasformarsi nel loro contrario: ci sono sempre mostri più carini di altri.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi