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Così la Spagna vuole riscrivere la sua Costituzione che “trasuda machismo”

Maurizio Stefanini

La nuova vice premier propone di modificare la Carta del 1978, in modo da evitare il “sessismo”. Parte l'attacco alla Real Academia, custode ufficiale della lingua. Il direttore: “Il problema è confondere la grammatica con il maschilismo”

“Se cambiate la Costituzione me ne vado dalla Real Academia de la Lengua Española!”.

“Meglio, così possiamo mettere al tuo posto una donna che ce ne sono poche!”.

Così il tono dello scontro tra Arturo Pérez Reverte e la deputata di Podemos per la Regione di Madrid Clara Serra. “Vuole evitare il maschilismo nella lingua? E allora perché non comincia lei col cambiarsi il nome da Carmen Calvo a Carmen Calva?”, è invece la “modesta proposta” che è arrivata alla vice-primo ministro e ministro dell'Eguaglianza. È lei che ha appena proposto di riscrivere la Costituzione spagnola del 1978, in modo da evitare il “sessismo”.

   

La Real Academia de la Lengua Española, Rae, sarebbe appunto chiamata a dare la sua consulenza all'operazione di adeguamento della Costituzione al “linguaggio inclusivo”. Ad esempio, dove è scritto “gli spagnoli” bisognerebbe riscrivere “la società”. Col che, però, ad esempio non sarebbero “gli spagnoli” ad acquisire la maggiore età ai 18 anni, ma “la società spagnola”. Arrivato al governo con un rocambolesco voto di censura contro Rajoy, il socialista Pedro Sánchez per mantenersi primo ministro ha bisogno di tutti gli appoggi possibili. Se ai catalani ha dunque offerto il trasferimento dei detenuti indipendentisti nelle carceri della regione e una ripresa del negoziato tra governo di Madrid e Generalitat, per contentare Podemos ha stabilito innanzitutto una apertura sul fronte delle politiche migratorie, da Aquarius all'annunciata rimozione delle “concertinas” di filo spinato al confine di Ceuta e Mellila. Poi il ripristino dell'assistenza sanitaria gratuita generalizzata, anche per i migranti. E adesso anche questa riscrittura “inclusiva” di una Costituzione accusata di “trasudare machismo”.

     

67 anni, autore di best-seller avvincenti che spaziano nei luoghi e nei secoli e dai quali sono stati tratti molti film, Arturo Pérez-Reverte è a sua volta un personaggio quasi da romanzo. Spagnolo, tra 1973 e 1994 fu reporter di guerra per il giornale Pueblo e per Rtve. È Stato a Cipro, in Libano, in Eritrea, nel Sahara Occidentale, alle Falkland, in El Salvador, in Nicaragua, in Ciad, in Libia, in Sudan, in Mozambico, in Angola, nel Golfo Persico, in Croazia, in Bosnia-Erzegovina. In Eritrea scomparve per alcuni mesi, sopravvivendo assieme ai guerriglieri e trovandosi costretto a difendere la propria vita con le armi. Poi piantò il giornalismo: troppa superficialità, spiegò, e troppa intromissione dei partiti in televisione. Ma anche da scrittore, ad esempio, una volta per documentarsi arrivò a partecipare a una delle “notti di caccia” in cui il Sistema Integrado de Vigilancia Exterior della Guardia Civil cerca di intercettare in mare scafisti, contrabbandieri e narcos.

  

Insomma, non è un personaggio cui manca il coraggio fisico: figuriamoci quello intellettuale. Già quando arrivò l'Aquarius impartì appunto una polemica “lezione” su Twitter, spiegando una differenza tra migrante, inmigrante e emigrante che in effetti vale anche per gli omologhi termini italiani. “Rispondendo a numerose consulte su quello che dicono tv e giornali: scrivo migrante per persona, animale o vegetale che lascia il suo luogo abituale e si installa in altri (migrazioni, migrare). Per chi arriva in qualche luogo, immigrante. Per chi se ne va da qualche luogo, emigrante”. Di fronte alla richiesta del governo alla Rae di iniziare a lavorare sul tema in modo da consegnare una relazione entro ottobre ha appunto minacciato le dimissioni per protesta.

   

“Noi non teniamo conto di tweet o messaggi sui social network di membri dell'entità”, ha commentato un portavoce della Rae. Almeno due membri donne si sono dette felici se Pérez Reverte davvero se ne andasse, ma qualcuno lo appoggia. Il direttore dell’istituto, Dario Villanueva, ad esempio ha ribattuto che “il problema è confondere la grammatica con il maschilismo”. “La Rae è sempre stata contro il linguaggio inclusivo”, ha commentato l'accademico Manuel Gutiérrez Aragón: “Una cosa è la visibilità delle donne, un'altra che si faccia violenza alla lingua”. Secondo lui è ancora più grave che sulla Rae si faccia una “pressione politica”. Ma la battaglia è iniziata.

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