Matteo Salvini col premier libico Ahmed Maiteeq (foto LaPresse)

Visita impeccabile di Salvini in Libia, ma lì non ci saranno hotspot

Daniele Raineri

Il ministro italiano incontra tutti a Tripoli e si schiera con Serraj: “I francesi stanno con Haftar per convenienza”

Roma. L’ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Perrone, e i servizi italiani che sono specialisti dell’area lunedì hanno organizzato una visita pressoché perfetta a Tripoli per il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, atterrato di mattina nell’unico aeroporto della capitale rimasto funzionante dopo anni di scontri. Oltre al volo dell’aeronautica militare che trasportava il ministro non è sfuggito nelle stesse ore il viaggio andata e ritorno di un secondo aereo tra Ciampino e Tripoli, un Falcon Dassault 900 dei servizi italiani – che era legato con discrezione alla missione del ministro. Tuttavia, anche se la preparazione della giornata era stata meticolosa, Salvini non porta indietro dalla Libia grosse novità rispetto alla linea impostata all’inizio del 2017 dal suo predecessore Marco Minniti. Soprattutto, non porta indietro informazioni rilevanti per l’atteso Consiglio europeo che si terrà giovedì e venerdì a Bruxelles – dove si parlerà soprattutto di immigrazione.

 

La speranza italiana di creare hotspot in Libia, quindi i centri di raccolta dei migranti dove chi ha diritto all’asilo in Europa sarà separato dai migranti economici, è andata definitivamente delusa. L’omologo libico di Salvini, il vicepremier Ahmad Maitig, ha ribadito al ministro italiano che il paese non accetterà mai la presenza dei centri. “E’ contro la nostra legge”, ha ricordato Meitig. Gli hotspot sono parte integrante del progetto europeo per contenere i flussi migratori e non è chiaro dove saranno creati – e se davvero saranno mai creati da qualche parte.

 

Ieri Salvini ha detto che saranno piazzati “a sud della Libia”, ma è chiaro che non si può continuare a scendere troppo a sud nella catena del traffico umano perché si rischia di aspettare i migranti nel posto sbagliato.

 

E’ molto interessante il fatto che Salvini abbia scelto di appoggiare al cento per cento il governo di Accordo nazionale di Tripoli e che per farlo abbia citato il fatto che è “il solo riconosciuto dalle organizzazioni internazionali”. Poi in conferenza stampa si è parzialmente corretto e ha parlato di “equidistanza dell’Italia rispetto ai due governi libici, di Tripoli e di Tobruk, ma subito dopo ha accusato la Francia di avere scelto di stare dalla parte del generale Khalifa Haftar soltanto per motivi economici e non per una scelta. Insomma, Salvini getta il proprio peso dalla parte del progetto delle Nazioni Unite per creare e tenere in vita il governo del premier Fayez al Serraj a Tripoli, un progetto molto sponsorizzato anche dall’Italia a dispetto delle probabilità a sfavore. In molti sostengono che Serraj sia troppo debole per sopravvivere agli intrighi delle sue milizie oppure a una eventuale prova di forza del suo rivale diretto, il feldmaresciallo Khalifa Haftar. Ma Salvini è stato chiaro: piena continuità con il passato e appoggio deciso a Serraj e Tripoli, ed è molto importante perché l’Amministrazione Trump non ha ancora fatto scelte chiare in Libia e Haftar è appoggiato da una catena di alleati potenti, dalla Francia del presidente Emmanuel Macron all’Egitto del presidente egiziano al Sisi fino alla Russia di Vladimir Putin. “L’Italia intende giocare un ruolo centrale in Libia per favorire la riconciliazione e la stabilità, grazie alla sua esperienza unica, alla sua credibilità con tutte le parti coinvolte, la sua presenza e il lavoro quotidiano dell’ambasciata italiana a Tripoli”, ha detto Salvini a Serraj. Tripoli ha annunciato una grande conferenza sull’immigrazione per metà settembre e diventerà un appuntamento importante. La contrapposizione con Macron “che è quindici volte peggio di Orbán, perché l’Ungheria non ha preso 300 rifugiati e la Francia non ne ha presi 9mila”, e che ricambia l’ostilità con dichiarazioni dure contro il governo italiano, adesso diventa esplicita pure per quel che riguarda la Libia. Ma è chiaro che qualsiasi soluzione al problema immigrazione passa per un vasto accordo internazionale e per un accordo fra le parti, nessuna fazione ha le forze per risolvere le cose da sola.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)