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M5s e Lega vogliono più missioni militari

Daniele Raineri

Dal sopralluogo nel sud della Libia per aprire una base militare alle novità per i soldati in Niger, i Cinque stelle non ricordano più quando sei mesi fa “ripudiavano la guerra” e adesso riconfermano e rafforzano le decisioni del governo precedente. Ops

A gennaio i Cinque stelle avevano votato contro il rifinanziamento delle missioni militari all’estero, inclusa quella in Niger che faceva parte del piano del governo Gentiloni per ridurre e controllare il flusso di migranti verso le coste italiane (la Lega s’era astenuta). Ora che però sono al governo – e alla Difesa c’è il ministro Elisabetta Trenta scelto da loro – hanno cambiato idea. Le missioni proseguono e potrebbero aumentare.

 

Un piccolo contingente del genio militare è in partenza per Niamey, capitale del Niger, con il compito di fare lavori nella base che ospita 46 soldati italiani guidati dal generale di brigata Antonio Maggi, secondo fonti diplomatiche. I primi militari erano stati spediti laggiù poco dopo l’approvazione il 17 gennaio in Parlamento della missione militare per sorvegliare il confine a imbuto tra Niger e Libia, scelto come punto di passaggio da migranti e trafficanti. La piccola avanguardia bloccata da cinque mesi a Niamey aveva in teoria il compito di fare sopralluoghi per scegliere dove e come sistemare il resto dei soldati, che al picco dell’intervento dovevano essere circa 470, ma non ha mai raggiunto la zona delle operazioni nel nord remoto vicino al confine con la Libia e per ora si è limitata a un paio di grandi distribuzioni di medicinali ad aprile e maggio per ingraziarsi la popolazione e il governo poco amichevole, in attesa di istruzioni. La loro “base” in realtà è soltanto un angolo della base militare americana poche centinaia di metri a nord dell’aeroporto internazionale della capitale. Ora, la missione dei genieri italiani (forse legata alla stagione delle piogge, che nel sud del paese va da giugno a settembre) conferma che la linea del ministro Trenta è uguale a quella del predecessore Roberta Pinotti, come lei stessa ha spiegato in una recente intervista tv: in Libano si resta “perché è importante”, in Afghanistan “ci sarà una riduzione di soldati come già programmato ma si resta perché ce lo chiedono gli americani” (che così chiuderanno un occhio se non rispetteremo il finanziamento della Nato calcolato su una percentuale del nostro pil, come vuole il presidente americano Donald Trump), in Niger si resta con un piede nella porta “in attesa che i nigerini ci autorizzino”.

 

Due settimane fa il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, aveva detto che c’è l’idea di una missione militare anche a Ghat, nel sud della Libia, vicino a quel confine con il Niger dove il contingente italiano in teoria dovrebbe operare già da mesi se avesse avuto il via libera. Un giornalista libico, Ali Wahida, ha scritto che ieri una delegazione italiana di militari e di uomini della sicurezza guidata da Massimo Bontempo, capo della Direzione centrale per l’immigrazione al Viminale, ha fatto un sopralluogo a Ghat “per creare una base italiana che ospiterà soldati e personale di sicurezza per controllare l’immigrazione”. Ghat è una zona conosciuta molto bene dai servizi segreti italiani, che nel novembre 2016 con trattative sul posto liberarono due tecnici italiani che erano stati sequestrati due mesi e mezzo prima. E’ come se l’Italia, lungi dal revocare le missioni, stesse raddoppiando su entrambi i versanti del confine tra Niger e Libia, probabilmente per riservarsi una soluzione alternativa: se non si potrà da un lato, si potrà dall’altro. In generale, è lo stesso schema Gentiloni-Minniti-Pinotti per controllare l’immigrazione, ma applicato con un quid di aggressività in più verso la Francia (che, si dice, è responsabile del nostro essere sospesi nel limbo nigerino) e con qualche colpo di teatro come la chiusura parziale dei porti.

 

E pensare che nel 2016 i Cinque stelle avevano votato anche contro la missione militare italiana Ippocrate, che consisteva nell’aprire un ospedale da campo a Misurata per curare i feriti della campagna contro lo Stato islamico (era guidata da Maggi, lo stesso generale oggi in Niger, è ufficialmente conclusa ma in realtà è stata ridefinita come “Missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia”). Fu il primo gesto di appoggio concreto al governo di Tripoli di Fayez al Serraj, lo stesso governo che oggi accoglie Salvini da alleato, ma allora la retorica era assai diversa: “Nel silenzio dei media e alle spalle del Parlamento, il presidente Renzi ci porta in guerra. Una guerra che la nostra Costituzione, il M5s e il popolo italiano, da sempre, ripudiano”, scriveva l’attuale sottosegretario agli Esteri, Manlio Di Stefano, sul sito ufficiale del Movimento cinque stelle. Adesso le missioni militari in Libia potrebbero diventare due, più una in Niger.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)