Libia, Fayez al-Sarraj parla con i giornalisti a Tripoli (foto LaPresse)

Salvini sbarcherà in Libia con soldi Ue, soldati Nato e un alleato Onu

Daniele Raineri

Quello del ministro dell'Interno è un piano molto poco sovranista. I briefing dei servizi segreti

Roma. Il piano del governo gialloverde per la Libia è un piano molto poco sovranista. Anzi, è un piano “globalista” che coinvolge Unione europea, Nato e Nazioni Unite. Prendiamo l’annuncio delle dieci motovedette che saranno consegnate dall’Italia alla guardia costiera libica e saranno guidate da marinai addestrati dalla marina italiana, un annuncio uscito assieme alla notizia che presto il ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini incontrerà a Tripoli il premier Fayez al Serraj. Quelle motovedette sono il simbolo della volontà del governo italiano di lottare a fianco della Libia contro i trafficanti di uomini. Ma non si sottolinea abbastanza il fatto che i soldi per le imbarcazioni, per l’addestramento e per i due centri di controllo che guideranno le operazioni della guardia costiera libica arrivano da fondi dell’Unione europea. C’è un trust fund dell’Ue che tra il luglio 2016 e il febbraio 2018 ha stanziato un totale di 237 milioni di euro specificamente per la Libia. I soldi sono e saranno elargiti attraverso organizzazioni internazionali oppure attraverso stati membri che operano in Libia, quindi anche l’Italia.

     

Prendiamo un’altra parte molto importante degli accordi con la Libia: i progetti locali per creare lavoro e quindi un’alternativa al traffico d’uomini, un caso classico di “aiutiamoli a casa loro”. Nell’agosto 2017 i sindaci libici presentarono all’allora ministro dell’Interno Marco Minniti dodici progetti di sviluppo per le loro città che riguardavano istruzione, sanità, sicurezza, infrastrutture, rilancio del turismo, ambiente e altro. Si tratta di progetti essenziali per spezzare il monopolio economico dei trafficanti sulla costa libica. Anche in questo caso il denaro ce lo mette l’Unione europea.

   

Prendiamo una parte essenziale dell’accordo: Salvini ha promesso aiuto a Fayez al Serraj, a dispetto del fatto che il premier di Tripoli non sta molto simpatico all’asse tra Khalifa Haftar (il feldmaresciallo che comanda nell’est del paese), l’Egitto del presidente Abdel Fattah al Sisi e al presidente russo Vladimir Putin. Salvini in Libia è pronto a non seguire il consueto orientamento filorusso negli affari internazionali perché sa che il contenimento dei barconi e dei migranti passa dall’ovest, quindi da Tripoli. Serraj è il frutto di accordi sponsorizzati dalle Nazioni Unite, che hanno riunito e fatto parlare molti interlocutori internazionali tutti molto interessati a quello che succede in Libia. In particolare nell’ascesa di Serraj è stata importante una conferenza organizzata da Paolo Gentiloni a fine 2015 a Roma con il beneplacito dell’Amministrazione Obama. Serraj nasce da uno sforzo congiunto internazionale che è l’opposto della concezione sovranista del mondo e del principio di non ingerenza caro ai Cinque stelle. E’ interessante anche che Salvini abbia parlato di un intervento a favore del premier libico “con la Nato”, che è un’altra organizzazione internazionale invisa al sovranismo ma viene utile quando conviene. Fondi dell’Ue, alleato sul campo voluto dall’Onu, soldati della Nato.

  

E ancora: una parte del piano migranti riguarda la creazione di centri di raccolta, cosiddetti hotspot, nei paesi di partenza. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ne ha parlato con il presidente francese Emmanuel Macron nel recente viaggio a Parigi e ha ottenuto un sì di massima. Ieri il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, ha proposto che se ne occupino Ue e Caschi blu dell’Onu.

   

Come si è arrivati a questa linea pratica? Tutte le attività di rilievo dell’Italia in Libia sono fatte in cooperazione con i servizi segreti italiani (Aise) che hanno storicamente una conoscenza aggiornata di persone e luoghi. Il direttore, Alberto Manenti, che a termini di legge potrebbe essere sostituito in qualsiasi momento, è nato a Tarhouna, in Libia. E’ possibile che il governo gialloverde non lo abbia ancora rimpiazzato perché in questa fase c’è bisogno di soluzioni pratiche e già rodate.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)