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La lettera da leggere bene per capire Kim e Trump

Giulia Pompili

Il presidente americano affronta il “summit del secolo” fidandosi solo di se stesso. Pyongyang si prepara da 60 anni (e si vede)

Roma. Il presidente americano Donald Trump ha una fascinazione per i dittatori, un pregiudizio positivo nei confronti dei tiranni, è convinto che con loro sia più facile intrattenere rapporti personali, decidere a porte chiuse, accordarsi (o scontrarsi) senza troppe lungaggini burocratiche. Trump preferisce chiudersi in una stanza con chi comanda, e lo ha dimostrato varie volte: il bilaterale preparatorio con il presidente sudcoreano Moon Jae-in, accompagnati soltanto dai due interpreti. Stesso metodo utilizzato con il leader Kim Jong-un. Come più volte ha sottolineato parlando della questione nordcoreana, non c’è nessuno più bravo di lui nei deal, negli accordi che poi sono anche affari, e dunque non poteva che essere lui, in persona, a stringere la mano al leader nordcoreano, la prima volta per un presidente americano in carica, 65 anni dopo l’armistizio della Guerra di Corea. Che cosa verrà fuori davvero da questo incontro lo sapremo solo tra qualche mese: il segretario di stato Mike Pompeo, che gode di molta fiducia tra i funzionari nordcoreani, ha ribadito per l’ennesima volta che quello di stanotte è un incontro preparatorio, un inizio, in vista di quell’acronimo che in passato ha già fatto saltare parecchi accordi: CVID. Vuol dire una denuclearizzazione completa, verificabile, irreversibile.

  

Ma l’ha detto pure il leader sudcoreano Moon: se la pace tra America e Corea del nord ci sarà, sarà un lungo percorso, e non una questione risolta in un paio di ore di conversazione. Su Kim, Trump aveva detto, giorni fa: “Penso che capirò subito se qualcosa di buono sta per accadere”.

 

E’ il modello di diplomazia “a sensazione” che caratterizza la Casa Bianca del tycoon – lui stesso aveva ammesso di non aver studiato il dossier nordcoreano proprio per arrivare al tavolo forte solo del suo istinto, come si muoverebbe il capo di un fondo speculativo. Una lunga analisi del New York Times firmata da David E. Sanger e Choe Sang-Hun, poneva però l’attenzione sul fatto che Trump non si è mai trovato di fronte a un leader come Kim, e citava alcune fonti, coinvolte nella preparazione del presidente americano, che dicono di essere “preoccupate” dal fatto che Trump è troppo sicuro di sé, e crede di potersi relazionare con Kim come farebbe con un uomo d’affari. Pompeo aveva poi smentito il New York Times, dicendo che almeno “cento esperti” di questioni nucleari, nell’ultimo anno, hanno lavorato alla questione nordcoreana, ma allo stesso tempo aveva dovuto abbassare le aspettative della comunità internazionale: siamo all’inizio di un lungo percorso.

  

Il problema è che dall’altra parte, a fronte dell’improvvisazione di Trump, c’è la pianificazione nordcoreana. Il leader Kim Jong-un si è dimostrato finora coerente con i suoi obiettivi: voleva la legittimazione internazionale, soprattutto da parte dell’America, confermata dall’incontro “alla pari” di oggi. Un incontro che è la diretta conseguenza del raggiungimento dello status di potenza nucleare, nonché la base da cui partire per lanciare il piano di sviluppo economico. Chi cade dal pero mente, perché la strategia nordcoreana non è una novità. E l’uomo chiave per capire la politica estera nordcoreana si chiama Ri Su-yong, classe 1940, vicepresidente del Partito dei lavoratori e presidente degli Affari esteri, diplomatico di lungo corso che fa parte della delegazione ristretta che accompagna Kim Jong-un a Singapore. Il 30 novembre 2017, cioè nel periodo di “massima tensione” tra America e Corea del nord, Ri ha inviato una lettera privata all’amico Giancarlo Elia Valori, nella quale si legge che “le armi strategiche che abbiamo sviluppato servono a salvaguardare la nostra sovranità” e l’Europa “non ha nulla da temere”. Nella lettera, visionata dal Foglio, si spiega anche che il rapporto tra la Corea del nord e l’America va considerato alla luce degli ultimi 70 anni, e che gli stati europei, finché non aderiscono alle minacce militari e non si adeguano all’embargo “che produce solo problemi e svantaggi”, sono fuori da quella che invece, altrove, viene considerata una “minaccia globale”. Anche per il massimo diplomatico nordcoreano, il dialogo sincero è l’unica soluzione per uscire dall’impasse con l’America e sviluppare un avanzamento economico. E’ anche per questo che si parla sempre più insistentemente dell’apertura di una rappresentanza diplomatica americana in Corea del nord.

  

Nel frattempo, qualunque conseguenza abbia il vertice, è soprattutto Kim Jong-un ad avere ottenuto ciò che voleva – i sorrisi degli ultimi suoi incontri ufficiali lo dimostrano. Lo charme offensive ai massimi livelli: il leader nordcoreano, sempre più somigliante a suo nonno Kim Il-sung, si è perfino concesso un selfie con il ministro degli Esteri di Singapore, Vivian Balakrishnan, pubblicato dal ministro singaporeano subito dopo la foto della torta di compleanno offerta con qualche giorno di anticipo a Trump. Altro successo di Kim: la questione dei diritti umani non verrà messa sul tavolo delle trattative. E molti analisti facevano notare che i luoghi in cui si muove oggi la macchina organizzativa del summit sono gli stessi frequentati spesso negli scorsi anni da Kim Jong-nam, fratellastro di Kim Jong-un, ucciso col gas VX all’aeroporto di Kuala Lumpur il 13 febbraio del 2017, omicidio per il quale il principale indiziato come mandante resta la Corea del nord.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.