Mohamed Nasheed (foto LaPresse)

Cosa c'entrano Cina, India e Stati Uniti con gli scontri nelle Maldive

Maurizio Stefanini

L'ex presidente in esilio lancia un appello a Washington e Nuova Delhi per risolvere la crisi politica nell'arcipelago dell'Oceano indiano

In questi giorni nel paradiso turistico delle Maldive ci sono stati degli scontri violenti tra manifestanti e polizia, mentre le autorità hanno dichiarato lo stato di emergenza e le forze di sicurezza hanno fatto irruzione nella sede della Corte Suprema. I disordini sono l'ultimo capitolo di una vicenda più ampia, che riguarda faide interne nel partito di maggioranza, l'integralismo islamico e il “Grande Gioco” tra Cina e India per l'Oceano Indiano.

 

 

A scatenare la crisi è stata la decisione della Corte Suprema di prosciogliere da varie accuse nove membri dell'opposizione: tra loro c'è anche l'ex presidente, Mohamed Nasheed, che vive in esilio a Londra. I simpatizzanti di Nasheed sono scesi nelle strade per festeggiare, ma il presidente Abdulla Yameen, invece di rispettare la decisione dei giudici e di liberare gli otto deputati, ha mobilitato gli agenti contro i manifestanti, ha proclamato lo stato di emergenza per 15 giorni e ha ordinato alle forze di sicurezza di fare irruzione nella sede della Corte Suprema per arrestare sia il presidente Abdulla Saeed sia un altro giudice, Ali Hameed, accusandoli di corruzione. Ai domiciliari è finito anche l'80enne Maumoon Abdul Gayoom, fratellastro di Yameen e presidente (o meglio dittatore) per 30 anni, fino alle prime elezioni democratiche che si sono tenute nel 2008.

 

 

Giovedì scorso, la Corte Suprema aveva anche riabilitato 12 parlamentari (sostenuti dal fratellastro del presidente) che avevano abbandonato il partito di Yameen. Di fatto, i giudici avevano così assegnato all'opposizione il controllo del Parlamento, rendendo il presidente passibile di una procedura di impeachment. Per preservare il proprio potere, Yameen ha imposto la sospensione delle sedute del Parlamento, ha bloccato l'applicazione di vari diritti costituzionali e ha rimosso il capo della Polizia, che pure si era schierato con l'opposizione.

 

Considerato un grande sostenitore della strategia di influenza cinese nell'Oceano Indiano e dell'islam integralista, sin da subito Yameen ha governato con metodi autoritari, e nel 2015 ha proclamato per la prima volta lo stato d'emergenza. Le simpatie del presidente verso Pechino hanno spinto l'opposizione a cercare la protezione di India e Stati Uniti. E' successo anche in queste ore, dopo gli scontri, con Washington e Nuova Delhi che hanno accolto l'appello lanciato da Londra dall'ex presidente Nasheed, chiedendo alle autorità di rispettare il giudizio della Corte.

 

 

Il volto dell'opposizione al presidente è Nasheed, presidente dal 2008 al 2012 e soprannominato il “Mandela della Maldive” per la decina di anni di detenzione che aveva scontato sotto il precedente regime di Gayoom. Divenne famoso in tutto il mondo quando nel 2009 convocò una riunione dell’intero governo sott'acqua, in tuta da sub, per attirare l’attenzione mondiale sui rischi che correvano le Maldive a causa del riscaldamento globale e dell'innalzamento dei livelli dell'oceano. Durante il suo mandato, Nasheed aveva assunto una posizione poco chiara nei confronti della religione islamica. L'ex presidente aveva accettato il sistema in vigore nelle Maldive, che nega ai non islamici il diritto di cittadinanza, e non si era opposto al divieto di qualsiasi pratica religiosa non islamica al di fuori dai villaggi turistici. Per compiacere gli integralisti, Nasheed aveva fatto bandire i centri benessere per poi autorizzarli di nuovo.

 

L'instabilità di questi giorni mette ora a rischio anche il turismo, essenziale per l'economia dell'arcipelago e che proprio in questo periodo è nel pieno della stagione, con decine di migliaia di visitatori stranieri che affollano le splendide spiagge dell'arcipelago. Le 1.190 isole coralline nell’Oceano Indiano che fanno parte delle Maldive, sono abitate da 350.000 persone che parlano un dialetto singalese e professano la religione islamica. Un’ottantina di queste isole sono adibite a villaggi turistici che ospitano ogni anno 600.000 stranieri, metà dei quali sono tedeschi e un quinto italiani, e che contribuiscono al 28 per cento del pil, al 60 per cento della valuta straniera e al 90 percento delle entrate dello stato.

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