La costruzione di alcuni prototipi del muro tra Stati Uniti e Messico (foto LaPresse)

Trump si scontra con il muro di Kelly, l'uomo che ha dato ordine alla Casa Bianca

Il capo di gabinetto che ha "educato" il presidente

New York. Donald Trump si è svegliato come al solito molto presto, ha visto sulla prima pagina del New York Times un articolo in cui il suo capo di gabinetto, John Kelly, dice che la posizione del presidente sul muro al confine è “evoluta” nel tempo, si è subito inferocito e istintivamente ha messo mano a Twitter per correggere il tiro: “Il muro è il muro, non è mai cambiato né evoluto dal primo giorno in cui l’ho concepito. Parti di questo saranno, per necessità, delle palizzate e non era mai stato pensato per aree dove ci sono protezioni naturali come come montagne, paludi o fiumi. Il muro sarà pagato, direttamente o indirettamente, oppure con rimborsi a lungo termine, dal Messico, che ha un assurdo surplus commerciale di 71 miliardi di dollari con gli Stati Uniti. I venti miliardi per il muro sono noccioline paragonati a quello che il Messico guadagna. Il Nafta è uno scherzo di cattivo gusto!”. Il giorno prima Kelly aveva incontrato al Congresso i leader del gruppo parlamentare ispanico, e a porte chiuse aveva propinato la storia di una evoluzione della posizione del presidente intorno all’eterna questione del muro, dicendo che il presidente era stato “male informato” durante la campagna elettorale e aveva detto un mucchio di cose balorde e irrealizzabili sul progetto di costruzione della barriera e sul conto da presentare al Messico. L’ex generale, che è stato anche segretario della sicurezza nazionale, si è presentato ai suoi interlocutori come l’uomo che ha “educato” il presidente all’antica arte della realtà e la sera ha ripetuto una versione edulcorata del cambiamento di linea di Trump anche davanti alle telecamere di Fox News. Alla Casa Bianca il presidente ha seguito l’intervista e “hated it”, ha detestato essere rappresentato dal suo braccio destro normalmente silente come un leader ondivago e disinformato che cambia idea sul punto retoricamente più rilevante di tutta la sua agenda. In questo caso, peraltro, Trump ha qualche buona ragione per sostenere che fin dall’inizio della campagna non diceva cose molto diverse da quelle di oggi sul muro. Quando la mattina successiva ha visto che il New York Times metteva con enfasi in prima pagina la notizia, la tweetstorm era inevitabile.

 

 

Kelly è una vittima inusuale dell’ira social del presidente. Da quando ha preso il posto di Reince Priebus come capo di gabinetto, la Casa Bianca ha assunto le fattezze di un organo di governo pressoché normale e alle volte perfino efficiente. Nixon aveva H. R. Haldeman e John Ehrlichman, soprannominati “il muro di Berlino”, per difenderlo dagli attacchi esterni, Trump ha Kelly per evitare di spararsi sui piedi. Assieme al generale McMaster, Kelly ha formato un’architrave credibile di una West Wing che nel tempo si è liberata tanto dei rappresentanti dell’establishment repubblicano (Priebus, Spicer) quanto dei nazional-populisti (Bannon) e ha scaricato anche alcuni pezzi del grande reality show trumpiano che avevano ottenuto un ufficio alla Casa Bianca (Omarosa). Kelly, insomma, è comunemente accettato come il simbolo della razionalità marziale e di un pragmatico senso comune, era difficile immaginare che Trump potesse smentirlo come un Tillerson qualsiasi. Il fatto è che la posizione di Kelly sull’immigrazione è ambigua. I commenti che hanno fatto reagire il presidente sembrano metterlo dalla parte dei moderati, ma diversi deputati dicono che è un “hardass”, un intransigente, tanto che è stato lui a telefonare a Trump per dirgli di rifiutare il compromesso bipartisan sui dreamers sottoscritto dal falco Lindsey Graham. Kelly ha poi detto ai cronisti che l’affare, a cui era legato anche l’accordo per evitare l’imminente shutdown dello stato federale, è saltato perché la trattativa “non era abbastanza inclusiva”, cioè aveva tenuto fuori dalla porta una serie di senatori repubblicani che il chief of staff, che è muro di cinta e selezionatore all’ingresso della corte di Trump, non poteva permettere venissero esclusi. Comunque sia andata, c’è l’inflessibile e a suo modo mite Kelly all’origine del ritorno alla linea dura esibito dal presidente. Che, in tutta risposta, ha per la prima volta segnalato una distanza dal suo uomo d’ordine.

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