Port-en-Bessin. Foto di Francesco Maselli

I pesci non sono, ehm, "sedentari". La Brexit vista dalla Normandia

Francesco Maselli

Quel che cambia per i ritmi dei pescherecci se l’uscita dall’Unione europea è hard o soft. Oggi il vertice Inghilterra-Francia

Port-en-Bessin. A Port-en-Bessin, in Normandia, la Brexit è una cosa molto concreta. In questo piccolo villaggio di pescatori, tra i più importanti per la pesca delle coquilles de Saint-Jacques, le capesante tipiche della zona, sono abituati alle domande sull’argomento.

   

Dal secondo Dopoguerra le barche francesi si allontanano dai loro porti per pescare nella Manica, arrivando fino alle acque territoriali britanniche: “La Manica è un canale stretto, e il pesce non è un animale sedentario, per usare un eufemismo. E’ naturale che le barche francesi sconfinino in Inghilterra e viceversa”, ci spiega Dimitri Rogoff, presidente del Comitato regionale della pesca della Normandia, l’organizzazione che raggruppa le seicento barche della regione. Le attività dei pescherecci sono regolate dalla convenzione di Londra, firmata da dodici stati europei nel 1964 e dalla quale i britannici hanno deciso di ritirarsi. La convenzione autorizza la pesca sino a dodici miglia dalla costa degli altri stati contraenti, ma ad alcuni è consentito anche tra le dodici e le sei miglia, spesso le acque più ricche di risorse. Sono i “diritti storici” concessi ai pescatori che utilizzavano quelle rotte prima che il trattato venisse concluso, nel periodo tra il 1952 e il 1963.

  

Su quasi tutte le acque territoriali inglesi che si affacciano sulla Manica i pescatori normanni e bretoni possono vantare diritti storici, un privilegio che non è reciproco, dal momento che i pescatori inglesi dell’epoca non avevano le tecnologie né la necessità di arrivare in acque francesi, a causa del mercato interno molto meno rilevante. A Port-en-Bessin sono due i pescherecci di più di 24 metri in grado di restare per giorni così lontani dal loro porto di appartenenza: “Questo tipo di barche non sono le più utilizzate in Francia, ma sono fondamentali nella filiera industriale: in otto giorni, il tempo di permanenza in mare, pescano tra le 15 e le 20 tonnellate di pesce che necessita lavorazione supplementare e genera quindi molto lavoro a terra”, ci spiega Raphaël Sauvé, vicedirettore dell’organizzazione dei produttori marini della Normandia.

Fino alla notizia della Brexit, ma anche adesso, gli affari andavano benissimo, continua Rogoff, tanto che nella regione entreranno in funzione quattro nuovi pescherecci di alto cabotaggio. Un investimento di circa 3 milioni di euro per ogni barca. I francesi hanno paura di perdere i loro diritti storici, richiesta avanzata dai brexiteers della costa sud dell’Inghilterra, che intendono vendere lo sfruttamento delle proprie acque territoriali senza dover sottostare alle quote imposte da Bruxelles: “In Europa non si può pescare senza limiti – ci spiega Rogoff – se gli inglesi non ci consentono più di andare nelle zone di diritti storici questo vuol dire ripiegare nelle nostre acque territoriali. Se poi si arriva a una hard Brexit, e quindi il confine torna a metà della Manica, è una catastrofe per tutti. Non vale soltanto per noi, ma anche per gli olandesi, per i belgi, per i tedeschi e per i danesi. Le quote resterebbero le stesse, lo spazio per pescare no”. I pescatori di Port-en-Bessin sono consapevoli che il loro dossier è uno dei tanti che dovrà essere trattato nei negoziati sulla Brexit, tuttavia sperano che, soprattutto da parte inglese, prevalga il buon senso: “Il mare è una risorsa comune – argomenta Rogoff – credo che ci siano le condizioni per trovare un accordo anche se le nostre culture sono diverse: loro hanno una mentalità più commerciale, noi più artigianale. Fare in modo che le risorse marine siano preservate è interesse di tutti: se non resta più pesce non saremo soltanto noi a essere danneggiati”.

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