Macron e May al summit del G7 (foto LaPresse)

Alla vigilia del vertice May-Macron Londra è piena di sospetti sui francesi

Paola Peduzzi

L’Europa ha il cuore aperto agli inglesi, anche l'inquilino dell'Eliseo. Ma per il suo incontro con la premier britannica ha pure molte richieste

Nel giardino dell’Eliseo, a luglio dello scorso anno, Emmanuel Macron disse alla premier britannica, Theresa May, che la porta dell’Europa resterà sempre aperta durante le negoziazioni sulla Brexit. Le trattative tra Bruxelles e Londra erano all’esordio, di lì a poco sarebbero iniziati i round di incontri che hanno portato, tra molte crisi, battute, bacchettate, acidità e lamentele, a una bozza di accordo, nel dicembre scorso, sui temi della fase uno dei negoziati. Ieri è cominciato il primo round del 2018 e s’è sentito ancora una volta il mantra macroniano, questa volta esplicitato dal capo del Consiglio europeo, Donald Tusk, e dal presidente della Commissione europea, Jean-Claude Junker: “Qui sul continente non abbiamo cambiato idea. I nostri cuori sono ancora aperti per voi”. Porte e cuori aperti, ma poi se dobbiamo discutere di Brexit, dei suoi infiniti dettagli, bisogna essere fermi, e anche appuntiti. E’ lo spirito dell’Unione europea, ed è lo spirito di Emmanuel Macron che domani incontra la premier May a Londra e nell’accademia militare di Sandhurst, in occasione del 35esimo vertice franco-britannico. Dovunque vada – è accaduto anche a Roma, la settimana scorsa – Macron si presenta nella sua duplice veste di presidente francese e di portavoce della rifondazione dell’Unione europea, ed è per questo che al bilaterale, storicamente dedicato ai temi della sicurezza, della difesa, della tecnologia spaziale, si parlerà molto di Brexit, in particolare di frontiere e di immigrazione.

    

Macron è andato ieri a Calais, confine nord della Francia, a difendere la propria politica di immigrazione – molto criticata all’interno del paese, soprattutto a sinistra – e a dire che “in nessun caso” si riformerà un’altra “giungla”. C’è chi dice che in realtà quella “giungla” (settemila persone accampate) pomposamente smantellata a favor di telecamera due anni fa non è mai scomparsa, abbiamo semplicemente smesso di occuparcene, e che il dramma di quel passaggio verso nord è destinato soltanto a peggiorare con l’avvicinarsi della Brexit. La gestione di questa frontiera è governata dal Trattato di Le Touquet, siglato nel 2003 dal francese Jacques Chirac (il suo ministro dell’Interno era Nicolas Sarkozy) e dall’inglese Tony Blair, che ha introdotto “controlli giustapposti” nei porti del Canale della Manica e che di fatto ha spostato la frontiera inglese a Calais (dove ci sono i controlli delle autorità britanniche) e quella francese a Dover (dove ci sono i controlli delle autorità francesi). L’accordo prevede che se uno dei due paesi rifiuta l’ingresso di un migrante l’altro deve prendersene carico, ed è il motivo per cui a Calais, negli anni, si è costruita quella giungla di migranti rifiutati dal Regno Unito, ma determinati a riprovarci.

      

Macron vuole discutere domani con la May una revisione del Trattato di Le Touquet – due funzionari dell’Eliseo lo hanno confermato, il presidente comunque lo ripete già dallo scorso anno: gli inglesi devono accelerare il controllo e l’accoglienza dei richiedenti asilo, dice il governo di Parigi, e devono aumentare i loro contributi finanziari per i controlli della frontiera a Calais. E’ per questo che già da alcune settimane sono in corso incontri tra delegati inglesi e francesi per stabilire nuove regole operative e fare i conti sugli investimenti, chi paga cosa e quando, ma le posizioni sono divergenti: abbiamo già pagato e contribuito a sufficienza, dicono i britannici, che si ritrovano così, proprio mentre hanno addosso gli occhi degli esigenti francesi, a dover difendere un’uscita ordinata del Regno dall’Ue senza sapere esattamente di che cosa stanno parlando.

   

Il ministro dell’Interno francese, Gérard Collomb, che ieri era nella delegazione presidenziale a Calais, ha detto di essere “fiducioso” sulla possibilità di rivedere l’accordo di Le Touquet “riguardo la copertura di un certo numero di costi da parte degli inglesi, l’accoglienza di un maggior numero di persone, in termini di rifugiati e di minori non accompagnati”. Appena si toccano confini e immigrazione insieme, i nervi scoperti della Brexit fin dall’inizio, quelli che l’hanno di fatto determinata, nel Regno scoppiano polemiche furibonde. Nigel Farage, portavoce dei falchi brexiteers, che è tornato deluso dal suo incontro con il capo dei negoziatori europei, il francese Michel Barnier – questi europei non hanno capito niente, ha commentato indispettito – ieri ha detto agli ascoltatori di Lbc che Macron sta “ricattando” gli inglesi: voi pagate per Calais e noi vi veniamo incontro sul negoziato per la Brexit. E’ proprio “un ingrato”, questo presidente francese, “negli ultimi tre anni abbiamo dato 124 milioni alla Francia – ha detto Farage – per costruire muri e garantire la sicurezza degli autisti dei tir che attraversano il canale: li abbiamo pagati per rendere i loro commerci più facili!”. Le argomentazioni di Farage, messe in fila alla perfezione, rimbombano presso gli elettori euroscettici: abbiamo già pagato abbastanza, non possiamo prenderci tutti gli immigrati, i francesi ci vogliono fregare.

  
I sospetti nei confronti dei francesi sono un po’ ovunque: anche nella City molti dicono che la Francia sta utilizzando la Brexit per aprire una breccia nel settore finanziario. I giornali inglesi sono pieni di ritratti incrociati Macron-May, impietosi: Macron ha cambiato la polarità del motore franco-tedesco a suo favore, nell’attesa di un governo a Berlino, e sta cercando di creare un progetto di riforma europea a trazione francese, mentre la May non riesce a levarsi di dosso l’immagine di debolezza e confusione appiccicata al suo mandato. Il potere contrattuale, sulla Brexit e anche nei rapporti bilaterali, sta nel campo francese, e le ultime indiscrezioni su un inasprimento delle richieste sul negoziato per l’uscita dall’Ue che sono state pubblicate in questi giorni dai giornali (lo scoop ieri era del Financial Times) non fanno che alimentare il nervosismo inglese. Il consigliere di politica estera Lord Ricketts, che è stato per anni ambasciatore in Francia, avverte che anche su sicurezza e cooperazione antiterrorismo c’è la possibilità che le relazioni anglo-francesi “vadano alla deriva”. In realtà i francesi sono più fiduciosi, contano anche sul’aiuto britannico nelle operazioni in Sahel. Però le premesse del bilaterale sono scandite dai sospetti: più di tutto a Londra pesa quel cuore aperto dell’Europa, la paura che qualcuno possa voler davvero cambiare idea sulla Brexit, e riaprire la porta già sbattuta.

Di più su questi argomenti:
  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi