Jeremy Corbyn (foto LaPresse)

Corbyn pigliatutto zittisce i banchieri e si guarda bene dagli intervistatori ostili

Paola Peduzzi

La retorica anti Wall Street, la copertina di GQ e il no a Campbell

Milano. Avete ragione ad avere paura di noi, di me, avete ragione a pensare che siamo una minaccia: sì, siamo una minaccia per “un sistema fallito e pericoloso che che è manipolato a favore di pochi”. Jeremy Corbyn, leader del Labour britannico, ha risposto così – e definendo il settore finanziario un covo di “speculatori e scommettitori che hanno distrutto la nostra economia” – alle critiche arrivate in settimana da parte di investitori americani e soprattutto da parte di Morgan Stanley nei confronti di un eventuale governo laburista alla guida del Regno Unito: la leadership di Corbyn sarebbe “il più importante cambiamento nel paese” dall’elezione di Margaret Thatcher e potrebbe rappresentare “un rischio più grande della Brexit” per l’economia britannica. “Banchieri come quelli di Morgan Stanley non dovrebbero guidare questo paese – ha detto Corbyn – Ma pensano di poterlo fare” perché “a Downing Street c’è il Partito conservatore”, compiacente e la premier Theresa May è tanto debole da non potere, anche volendo (sottinteso: non vuole), controbilanciare il loro dominio.

 

La retorica anti Wall Street si porta molto in quella fetta di mondo in cui si accomodano populisti di destra, populisti di sinistra, anti sistema, cospirazionisti. Ma la particolarità di Corbyn, che ha dalla sua parte la coerenza (ripete da decenni le stesse cose), è che ha un successo incredibile, non strettamente politico, ma di popolarità e glamour: con il borsello e il cappello, con il suo stile anni Sessanta/Settanta – che è, questo sì, molto politico: la nostalgia, il ritorno al passato è l’essenza dell’ideologia corbyniana – e l’aria mite ma i metodi autoritari ha conquistato l’immaginario di moltissimi giovani inglesi e di molti adulti, politici e commentatori che individuano in questa visione retrò la chiave del progressismo (che è già una contraddizione in termini). Il socialismo è tornato di moda e il suo testimonial più spregiudicato si gode il momento, mentre i suoi lavorano senza sosta per creargli un’occasione, un’elezione anticipata sarebbe il massimo. E mentre ci immaginiamo questo popolo entusiasta rinvigorito dalla promessa di una nuova rivoluzione, scopriamo che in realtà la costruzione del leader-star Corbyn è meticolosa, precisa, infinitamente sospettosa. Un esempio? La copertina di GQ, edizione inglese.

 

L’ultimo numero della rivista ha il rivoluzionario in copertina, con il suo “takeover ostile” in evidenza assieme alla scelta di indossare abiti Marks and Spencer per la foto, e poi le riflessioni sugli errori di Blair, la volontà di lavorare assieme a Putin e Trump, la preparazione per la Brexit – e alla domanda: ma il tuo staff ha votato per rimanere in Europa?, la risposta è: non faccio domande personali ai miei, siamo qui per lavorare. Una consacrazione dovuta, dopo mesi in cui uno dei leader più improbabili della storia recente del Labour è diventato tanto solido, e adorato. E tutto congiura a favore di Corbyn: ieri mattina il direttore di GQ, Dylan Jones, è andato in tv per criticare il leader del Labour, dopo averlo messo in copertina. Viene trattato come una star, ha detto Jones, ma visto da vicino “è deludente”; fotografarlo però è stato difficile “come per una star di Hollywood”, si “è incaponito” sull’abito di Marks and Spencer, ma poi si aggirava sul set “come un nonno che deve sistemarsi per la foto di Natale”. E lo staff di Corbyn poi, ha raccontato Jones, è stato rigido, molto sospettoso, s’è rifiutato di avere come intervistatore Alastair Campbell, ex spin doctor di Blair (Campbell, parlando con il Foglio, ha confermato che avrebbe voluto intervistare Corbyn, ma gli è stato detto di no), ha controllato ogni virgola e non era mai soddisfatto. Dopo l’intervista di Jones, i corbyniani hanno ricordato che il direttore di GQ è filoconservatore, ha scritto un libro sull’ex premier Cameron, e comunque non era nella stanza con Corbyn, di che parla? Nel battibecco generale, il leader del Labour è risultato il vincitore, ancora una volta.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi