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Un'occasione sull'immigrazione

Redazione

Dopo la sentenza della Corte europea, è il momento di essere seri su Dublino

La decisione della Corte europea di giustizia di rigettare il ricorso di Ungheria e Slovacchia contro il trasferimento di richiedenti asilo da Italia e Grecia verso gli altri stati membri rappresenta una vittoria per la Commissione di Jean-Claude Juncker e per quei paesi che, come Italia e Germania, hanno sostenuto il principio della “solidarietà” di fronte alla crisi dei migranti. La proposta di quote obbligatorie per ripartire i rifugiati era arrivata in Commissione nel 2015 per aiutare Grecia e Italia nel momento in cui più di un milione di persone aveva imboccato le rotte del Mediterraneo orientale e centrale. Il meccanismo delle cosiddette “relocation” era necessario “per rispondere in modo efficace e rapido a una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di migranti”, hanno stabilito i giudici di Lussemburgo. Il commissario all’Immigrazione, Dimitris Avramopoulos, ha colto l’occasione per lanciare un ultimatum a Polonia, Ungheria e Repubblica ceca: se entro “poche settimane” non accetteranno richiedenti asilo da Grecia e Italia, l’esecutivo comunitario farà il “passo successivo” nella procedura di infrazione portando i tre paesi recalcitranti davanti alla Corte di giustizia. Ma la Commissione farebbe bene a usare il capitale politico della sentenza della Corte per perseguire un obiettivo più ambizioso, in particolare portare a compimento la riforma delle regole di Dublino.

 

Come già avevamo sottolineato all’annuncio delle “relocation”, la proposta della Commissione era simbolicamente coraggiosa, ma nei fatti destinata a deludere. Due anni dopo l’avvio del meccanismo, e a tre settimane dalla sua chiusura, solo 27 mila richiedenti asilo sono stati trasferiti da Grecia e Italia verso altri paesi europei contro l’obiettivo iniziale di 160 mila. Colpa delle soglie troppo alte per le nazionalità eleggibili (alla fine solo siriani ed eritrei) e delle complessità burocratiche. La Commissione stima che ci siano al massimo altri 12 mila richiedenti asilo che possano rientrare nelle “relocation”, di cui 7 mila in Italia. E’ troppo poco per sprecare tempo e risorse lanciandosi in un braccio di ferro con Polonia, Ungheria e Repubblica ceca. Meglio forzare la mano ai paesi dell’est per la prossima crisi, costringendoli a accettare l’introduzione nelle regole di Dublino di un sistema permanente di “relocation” in caso di emergenza. L’argomento per convincerli? La solidarietà tra paesi Ue è fondamentale, ma la lezione che tutti hanno imparato negli ultimi due anni è che le crisi dei migranti si risolvono con accordi forse discutibili ma efficaci, come sta accadendo con Turchia e Libia.

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