Clinton prende più voti ma vince Trump. Le presidenziali Usa spiegate con Atlético Madrid-Barcellona

Luciano Capone

Il fatto che Hillary sia stata sconfitta nonostante abbia avuto un consenso popolare maggiore viene indicato da molti come una falla nel sistema democratico o comunque come una cosa ingiusta. Non lo è.

Hillary Clinton ha preso circa 1,5 milioni di voti più di Donald Trump, ma ha perso le elezioni perché Trump ha vinto in più stati e ha conquistato un maggior numero di “Grandi elettori. Il sistema elettorale statunitense è fatto così, per ragioni storiche, culturali e istituzionali. Ma il fatto che la Clinton sia stata sconfitta nonostante abbia avuto un consenso popolare maggiore viene indicato da molti come una falla nel sistema democratico o comunque come una cosa ingiusta. In democrazia si contano i voti e chi prende più consensi deve vincere, si dice.

 

In realtà le cose non stanno proprio così, perché non è detto che con un sistema elettorale diverso la distribuzione dei voti sarebbe finita allo stesso modo: probabilmente Trump avrebbe fatto maggiore campagna elettorale in stati popolosi e nettamente democratici come la California o New York e magari molti elettori repubblicani di questi stati, che non vanno a votare perché considerano il loro voto ininfluente, si sarebbero recati alle urne. Forse Trump avrebbe preso più voti della Clinton, o forse la Clinton avrebbe preso ancora più voti. Nessuno lo può sapere e per questo le varie ipotesi sono un esercizio inutile. Il sistema è fatto così: bisogna prendere più voti degli altri, ma conta vincere nei singoli stati più che prendere tantissimi voti in totale. E’ un po’ come a calcio. Lo scopo del gioco è segnare e fare più gol degli avversari, ma ciò che veramente conta nel campionato è vincere le singole partite: è meglio vincere due partite 1-0 che vincerne una 7-0 e pareggiare l’altra. Contano i punti e non la differenza reti.

 

Per continuare con il paragone calcistico, si può dire che le presidenziali americane sono finite come la Liga del 2014, il campionato spagnolo vinto dall’Atlético Madrid. Da un lato c’era il Barcellona, la squadra campione in carica, piena di fenomeni e fuoriclasse (Messi-Neymar-Iniesta) e vista come favorita da tutti gli osservatori, dall’altro lato c'era l’ Atlético, una buona squadra con un bomber, qualche buon giocatore, tanti operai e un paio di fabbri. Nonostante la disparità di forze (tecniche e anche finanziarie) il torneo è stato equilibrato, con l’Atletico che vinceva le partite di misura e il Barcellona che trionfava in goleada. Il campionato è stato deciso all’ultima giornata, in uno scontro diretto in casa del Barcellona ma con l’Atletico in vantaggio in classifica. Nonostante i pronostici sfavorevoli, l’iniziale svantaggio e l’infortunio di un paio di giocatori fondamentali, l’Atletico allenato da Diego Simeone ha raddrizzato la partita con un col di testa su calcio d’angolo.

 

Alla fine del campionato il Barcellona ha una differenza reti migliore (14 gol più dell’Atletico), ma i colchoneros hanno fatto di 3 punti in più e conquistano la Liga. Non succede quasi mai, ma nessuno pensò allora di dire che il gioco era truccato o che il risultato era stato ingiusto o anti-sportivo. Perché se le regole fossero state diverse, se cioè a contare fossero stati i gol anziché i punti in classifica, le strategie delle squadre sarebbero state diverse e magari in tante partite l’Atletico anziché difendersi per mantenere il 2-1 avrebbe continuato ad attaccare. Un ragionamento inutile, come quello sul numero di voti totali negli Stati Uniti, perché "Vittoria è quando arbitro fischia", per parafrasare Vujadin Boskov.

 

p.s.: anche alle primarie democratiche del 2008, quelle che sancirono il trionfo di Barack Obama, Hillary prese più voti popolari ma meno delegati. Nessuno disse o pensò che la vittoria di Obama era illegittima o menomata. Il problema della Clinton è che gioca un po’ alla Zeman, fa un sacco di gol ma non vince mai.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali