Il presidente della Sud Corea Park Geun-hye in visita in Messico (foto LaPresse)

Dietro uno scandalo coreano c'è tutto il dramma di una donna sola al comando

Giulia Pompili
Venerdì si è presentata davanti ai giornalisti e alle telecamere e ha parlato di uno scandalo “straziante”, ma anche di questioni molto personali: “Ho creduto troppo in una relazione personale e non mi sono accorta di ciò che stava succedendo. Quindi è vero, ho abbassato la guardia e il mio senso di diffidenza”.

Roma. Essere una donna. Essere presidente dell’undicesima economia del mondo. Essere anche una figlia, anzi un’orfana, che ha assistito all’omicidio di entrambi i genitori – a distanza di cinque anni l’una dall’altro. Non deve essere facile essere Park Geun-hye. Lo scandalo che ha colpito la Corea del sud un paio di settimane fa ha avuto e continuerà ad avere risvolti giudiziari, ma ieri, dopo le prime dichiarazioni ufficiali della presidente, è l’aspetto umano a colpire, più di quello politico.

 

Dopo che la procura di Seul aveva confermato l’arresto di Choi Soon-sil, la donna che avrebbe manovrato per quattro anni la Casa Blu, il palazzo del governo di Seul, la presidente Park ha convocato una conferenza stampa. Venerdì si è presentata davanti ai giornalisti e alle telecamere e ha parlato di uno scandalo “straziante”, ma anche di questioni molto personali: “Choi è la persona che mi è stata vicina durante il periodo più difficile della mia vita”. E poi: “Ho creduto troppo in una relazione personale e non mi sono accorta di ciò che stava succedendo. Quindi è vero, ho abbassato la guardia e il mio senso di diffidenza”. Park ha riconosciuto la sua responsabilità per lo scandalo, si è messa a disposizione delle autorità, nel caso in cui volessero sentirla in tribunale: “E’ stato un mio errore, un mio sbaglio”. Tutto ruota intorno alla figura di Choi Soon-sil, l’eminenza grigia che sussurrava all’orecchio della presidente, le correggeva i discorsi, le forniva consigli, senza avere alcun incarico governativo e nulla osta di sicurezza.

 


Choi Soon-sil all'arrivo ieri presso l'ufficio del procuratore (foto LaPresse)


 

Choi è accusata di aver maneggiato molti, molti soldi sfruttando le sue amicizie nel palazzo presidenziale e la fama che si era costruita negli ultimi quattro anni. Avrebbe usato la sua “influenza” per spingere alcune grosse compagnie coreane a fare donazioni alle sue due fondazioni per settanta milioni di dollari. Sarebbe intervenuta nel sistema di selezione universitario per far ammettere sua figlia Chung Yoo-ra alla prestigiosa Ewha Womans University. Come ha ricordato ieri l’Editorial board del New York Times, in un violento editoriale sulle “metastasi della crisi coreana”, la presidente Park era stata eletta nel 2012 promettendo una stretta sulla corruzione: “Non ho figli a cui lasciare un’eredità, siete voi, le persone, voi siete la mia unica famiglia, e farvi felici è l’unico motivo per cui faccio politica”. Era una grande speranza, per la Corea, la prima presidente donna.

 

Alla luce di quanto emerso dalle indagini su quello che viene definito il “Choi gate”, tutto è cambiato. E non è un caso se ieri sui social network coreani è iniziata a girare una celebre canzone dei Radiohead, “Creep”, per via del suo testo ritenuto dai cittadini particolarmente adatto: “Ma io sono un verme / Sono uno strano / Che diavolo ci faccio qui? / Io non appartengo a questo posto”. E’ soprattutto tra i giovani che sta montando da giorni l’indignazione nei confronti di Park, colpevole, secondo l’opinione pubblica, di non essere stata in grado di gestire i suoi affari personali separatamente dalla cosa pubblica. Secondo un sondaggio Gallup, il suo indice di gradimento è adesso al 5 per cento, il più basso a cui sia mai arrivato un presidente della Repubblica di Corea (forse qualunque presidente in Asia, dice il Financial Times). Durante la conferenza stampa di ieri, Park ha negato di essere stata “plagiata” da una sorta di culto religioso – ed è questo l’aspetto più esoterico di tutta la vicenda, perché Choi è considerata una “sciamana”, attività che avrebbe proseguito sulle orme di suo padre, Choi Tae-min, fondatore della setta della “Chiesa dell’eternità” e consigliere del padre-presidente Park Chung-hee. Dopo l’assassinio di Park nel 1979, i Choi divennero molto vicini a Park Geun-hye.

 



Sud Corea, manifestazione contro presidente Park Geun-hye a Seoul (foto LaPresse)


 

Una delle ferite più profonde nella storia dei coreani riguarda l’affondamento del traghetto Sewol, avvenuto il 16 aprile del 2014, che causò la morte di 304 persone, la maggior parte studenti del liceo Danwon. Durante le prime sei, sette ore dall’incidente, la presidente Park risultò irraggiungibile, nessuno sapeva dove fosse e se sapesse che si stava consumando la peggiore tragedia del secolo nelle acque del suo paese. Tatsuya Kato, giornalista del Sankei Shimbun, fu processato per diffamazione quando scrisse sul suo giornale che la Park in quelle ore stava avendo un non precisato “incontro privato” con Chung Yoon-hoi (guardacaso, l’ex marito di Choi Soon-sil). Oggi circolano moltissime voci su dove fosse la Park durante quelle ore – qualcuno parla addirittura di un affondamento voluto dai Choi come “sacrificio”, ma siamo nel genere fantasy. L’unica cosa certa è che la Park durante quelle sei ore, così come durante i vent’anni dopo la morte del padre, quando sparì dalla scena pubblica, era con i Choi. Quando diventò presidente, qualcuno si chiese come mai questa donna carina, minuta, potente, non avesse mai avuto un marito, un fidanzato, un amante. Per lei c’era Soon-sil, quella che credeva la sua migliore amica, la sua confidente e che poi, a un certo punto, ha iniziato a decidere per lei anche i vestiti, le parole, i pensieri. Una sciamana con una passione per le Prada e per i soldi. Soldi fatti probabilmente alle spalle della solitudine di una donna, della presidente. Alcuni giornali, in Corea, l’hanno definito “il più triste dramma” della storia coreana.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.