La presidente Park durante il discorso di martedì in diretta nazionale (foto LaPresse)

La Corea del sud è a un passo dal voto anticipato

Giulia Pompili

La presidente Park Geun-hye offre le sue dimissioni dopo lo scandalo che ha colpito la Casa Blu il mese scorso, ma è per evitare la tentazione populista e preparare il terreno alla campagna elettorale. Ban Ki-moon pronto a candidarsi?

Roma. La presidente sudcoreana Park Geun-hye ha detto ieri, in un inaspettato discorso alla nazione trasmesso in diretta da tutti i media, che è pronta a rassegnare le dimissioni qualora l’Assemblea nazionale lo ritenesse opportuno: “Se i partiti di governo e di opposizione mi faranno sapere come ridurre al minimo la confusione e il vuoto negli affari di stato e garantiranno un trasferimento stabile del potere”, ha detto, “mi dimetterò da presidente in base al loro programma e alle procedure previste dalla legge”. Nei cinque minuti di discorso, in diretta dalla Casa Blu, il palazzo presidenziale sudcoreano, la Park ha rinnovato le sue scuse ai cittadini per lo scandalo che sta scuotendo la Repubblica da poco più di un mese, negando però ogni violazione di legge o reato. Sin dal 1987, anno in cui in Corea del sud si sono svolte le prime elezioni libere e con il sistema elettorale corrente, non è mai successo che un presidente non portasse a termine il suo mandato quinquennale. Ma quel che sta succedendo in queste settimane a Seul è molto più di uno scandalo politico, e rischia di segnare per sempre la storia del paese, uno dei più forti alleati americani nel Pacifico e undicesima economia mondiale. Per come si erano messe le cose, venerdì prossimo si sarebbe aperta la procedura di impeachment, sostenuta non solo dall’opposizione ma anche da alcuni membri della stessa maggioranza. La Park sembrava ormai prigioniera della Casa Blu, lontana da qualunque decisione ufficiale. Il passo di ieri, quindi, potrebbe sembrare un atto politico dignitoso, ma non è così. La Costituzione coreana prevede, sia in caso di impeachment sia in caso di dimissioni, sessanta giorni per rimpiazzare il presidente eletto (nel frattempo, è il primo ministro a fare le funzioni del presidente).

 

Nel caso in cui l’Assemblea nazionale dopodomani avesse votato positivamente per l’impeachment della Park, la Corte costituzionale avrebbe avuto 180 giorni per concludere il processo. Nel mezzo, però, le elezioni da organizzare in fretta e furia. Con la vittoria di Donald Trump alle elezioni americane, e un milione e mezzo di persone che ogni sabato invade le strade di Seul (tra Gwanghwamun e la Seoul City Hall, di cui avevamo raccontato a lungo qui) per chiedere giustizia e un nuovo governo, è facile immaginare che la tentazione populista sia attualmente il principale problema della classe politica coreana. Tentazione che ha un nome e cognome: Lee Jae-myung, 52 anni, sindaco della città di Seongnam, del partito liberale Minjoo. In una recente intervista allo Strait Times ha detto di “rispettare Donald Trump, che ha vinto mettendo sotto impeachment la classe dirigente”, e di voler “incontrare Kim Jong-un”, non prima di aver assicurato la galera alla presidente Park. Secondo i sondaggi, Lee Jae-myung è il terzo candidato preferito dai coreani, dopo l’ex segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon (che dovrebbe tornare a Seul a gennaio, in tempo per la campagna elettorale), e l’ex candidato alla presidenza Moon Jae-in (con il quale Lee Jae-myung dovrebbe scontrarsi per la candidatura del Partito democratico). Una cosa è certa: la carriera politica di Park Geun-hye è finita.

 

Il vaso di Pandora si è scoperchiato a fine ottobre, quando è venuto fuori il ruolo strategico che da quarant’anni svolgeva una confidente della presidente, Choi Soon-sil. Quest’ultima, attualmente agli arresti per pericolo di fuga, è accusata di aver “plagiato” la Park e di aver usato la sua vicinanza con la presidenza per ottenere fondi da destinare alla sua fondazione personale. Donazioni che sarebbero arrivate dai più grandi conglomerati sudcoreani, i cui uffici sono già stati quasi tutti perquisiti dalle forze dell’ordine. Choi avrebbe manipolato decisioni e discorsi presidenziali, pur non avendo alcun ruolo ufficiale. Durante le indagini, che sono partite poco più di un mese fa, sono venute fuori molte storie collegate (ancora da accertare dagli inquirenti). Dalle pressioni ricevute dalla prestigiosa Ewha university di Seul per far ottenere l’ammissione della figlia di Choi – nota atleta della nazionale coreana di dressage – fino alle 360 pasticche di Viagra ordinate dalla presidenza, ufficialmente per “curare potenziali disturbi da alta quota” dello staff.

 

Col passare dei giorni, però, mentre lo scandalo montava, sempre più coreani scendevano in piazza per chiedere le dimissioni della presidente Park. E la Repubblica ha iniziato a perdere pezzi: due vecchi membri dell’ufficio di presidenza sono stati arrestati, mentre si sono dimessi il segretario alla presidenza per gli Affari civili, Choi Jai-kyeong, e il ministro della Giustizia, Kim Hyun-woong. La presidente Park ha vinto le elezioni nel dicembre del 2012 e ha assunto l’incarico nel gennaio del 2013. Leader del partito conservatore Saenuri, era stata eletta anche in quanto prima donna presidente, grande speranza del rinnovamento politico coreano nonostante fosse la figlia di Park Chung-hee – leader della Corea del sud dal 1961 al 1979, che prese il potere con un colpo di stato militare e governò con il pugno di ferro. Sabato scorso c’è stata la quinta manifestazione oceanica contro la presidente Park Geun-hye, e secondo gli organizzatori un milione e mezzo di persone avrebbe sfilato per le strade di Seul in modo pacifico, a volte perfino col sostengo delle forze dell’ordine. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.