Choi Soon-sil (a volte scritto Choi Sun-sil) all'arrivo ieri presso l'ufficio del procuratore

Sesso, soldi, fede. Chi è che governa davvero alla Casa Blu?

Giulia Pompili
Fino a qualche giorno fa, Choi Soon-sil era la donna più ricercata e misteriosa d’Asia. Chi è Choi Soon-sil, la santona accusata di aver manovrato la presidente della Corea del sud, e il possibile impeachment di Park Geun-hye.

Update: qualche ora dopo essere stata ascoltata dal procuratore, Choi Soon-sil è stata fermata dalle autorità per pericolo di fuga. Nel frattempo, a Seul sono stati perquisiti gli uffici di otto banche legate alle indagini. Domani si deciderà sulla convalida dell'arresto. 

 




Roma. Alla fine si è presentata. Ieri pomeriggio è arrivata all’Ufficio del procuratore distrettuale centrale di Seul, con un cappellino nero in testa che le copriva appena gli occhi, una sciarpa tirata su fino alle orecchie, l’aria distrutta. Circondata da un plotone di giornalisti, fotografi e manifestanti, prima di sparire nell’ufficio del procuratore ha detto: “Perdonatemi. Ho commesso un reato capitale”. Fino a qualche giorno fa, Choi Soon-sil era la donna più ricercata e misteriosa d’Asia. Dalla Germania, dove si era rifugiata da settembre, è tornata a Seul per collaborare con gli inquirenti. Secondo i suoi accusatori, Choi sarebbe la burattinaia della presidente coreana Park Geun-hye, la donna che per almeno vent’anni avrebbe deciso l’attività politica di Park e usato la sua influenza per manovrare sostanziosi fondi. Lo scandalo che ha investito la Corea del sud, e che da una decina di giorni campeggia sulle prime pagine asiatiche, è molto più che uno scandalo politico. Perché dice tutto sulla Corea e sui giochi di poltrone di Seul, ed è condito con gli elementi di un thriller alla coreana: c’è il misticismo, il sesso, il potere, una democrazia relativamente giovane in cerca di una identità.



Fino a ieri c’erano perfino pochissime immagini di lei, Choi, sessant’anni, definita dalla presidente Park (durante le scuse pubbliche) "una persona importante" della sua vita, più di un’amica, quella che le è stata più vicina negli ultimi venti anni. E sì che l’attuale presidente della Corea del sud di problemi ne ha avuti, nella sua vita. Il padre, Park Chung-hee, è stato il leader della Corea dal 1961 al 1979, ed è considerato l’uomo che ha traghettato il paese fuori dalla crisi economica del Dopoguerra. Non senza spargimenti di sangue, perché Chung-hee di fatto ha preso il potere grazie a un colpo di stato dell’intelligence militare nel ’61, e ha tenuto per tutti e diciotto gli anni di presidenza una politica autoritaria. Ma su pressioni della Casa Bianca ha indetto le elezioni, e le ha vinte quattro volte, prima di essere ucciso il 26 ottobre del 1979 dallo stesso capo dei servizi segreti, Kim Jae-gyu. Il collaboratore più stretto di Chung-hee si chiamava Choi Tae-min e, a seguire il filo della vicenda, è il vero perno intorno al quale ruota tutto: Tae-min, scomparso nel 1994, era un poliziotto diventato poi monaco buddista, poi convertito al cattolicesimo e infine fondatore di una setta, la “Chiesa della vita eterna” (una delle centinaia di sette che popolano la Corea del sud). Era un santone, Tae-min, una specie di sciamano, ha avuto un numero infinito di pseudonimi, sei mogli, ma soprattutto ha capito subito l’importanza di restare attaccato alla Casa Blu, il palazzo presidenziale di Seul. Tae-min è il padre di Choi Soon-sil, che in seguito prenderà l’eredità pseudoreligiosa del padre. Nel 1974, cinque anni prima del padre, la madre della presidente Park, l’allora first lady Yuk Young-soo, fu uccisa durante una cerimonia pubblica da un colpo di pistola sparato da un simpatizzante della Corea del nord. Qualche tempo dopo – così raccontano i giornali coreani – Choi Tae-min aveva detto alla Park di aver visto in sogno la madre. Le due ragazze, Choi Soon-sil e la nuova first lady Park Geun-hye iniziarono a frequentarsi assiduamente. Ma dall’elezione a presidente di Park fino a oggi, c’è un vuoto mediatico.



Tutti, in Corea, conoscevano il ruolo dei Choi come “consiglieri” informali della Casa Blu, ma nessuno poteva immaginare a quale livello. Chung Yoon-hoi, ex marito di Choi Soon-sil, era stato capo dello staff della Park durante la campagna elettorale, stranamente allontanato dopo il divorzio con la donna. Durante lo scandalo per la gestione del disastro del traghetto Sewol (2014), venne fuori che la presidente Park era scomparsa per sei ore: c’entrava in qualche modo la famiglia di Choi (una cerimonia di commemorazione in onore del padre, sembra), ma nulla fu più scoperto (un giornalista giapponese, per aver cercato di indagare, è stato processato). In un cablogramma pubblicato da Wikileaks del 2011, l’ambasciatore americano in Corea, Alexander Vershbow, si riferisce a Choi Tae-min come al “Rasputin coreano”. La leader del Partito democratico coreano, Choo Mi-ae, ha detto ieri: “Non è nemmeno una dittatura, quella che stiamo vivendo. E’ una terrificante teocrazia”, riferendosi al ruolo di sciamana di Choi e al “lavaggio del cervello” presumibilmente subìto dalla Park.



Oggi la questione sembra poter far cadere la presidenza, perché il vaso di pandora è stato scoperchiato. A settembre Choi ha lasciato la Corea per andare a trovare la figlia, Chung Yoo-ra, ventenne campionessa di dressage e beneficiaria di molta dell’influenza della famiglia, secondo l’accusa. A Schmitten, in Germania, Chung avrebbe sposato un collega, e avrebbe vissuto in una casa con quindici cani e cinque gatti (tanto che secondo la stampa locale lo scorso anno la polizia andò a bussare alla loro porta). Ma tutto lo scandalo è iniziato soltanto pochi giorni fa, da un tablet lasciato a Seul sul quale ha messo le mani l’emittente coreana Jtbc. All’interno del tablet – l’altro ieri Choi ha detto al quotidiano Segye Ilbo, legato alla Chiesa dell’Unificazione, di non averlo mai posseduto – c’erano i discorsi corretti e modificati della presidente Park, e le prove del suo accesso a materiale classificato, oltre che alle nomine strategiche governative. Nel frattempo altri filoni dell’inchiesta si sono aperti, soprattutto sui giornali: c’è la storia di Ko Young-tae, che ieri si è presentato spontaneamente all’ufficio del procuratore, ed è definito dalla stampa il “toy boy” di Choi (lavorava in un locale di “servizi” per donne). Ci sono i vestiti indossati dalla Park scelti personalmente da Choi Soon-sil (in un video trasmesso dalla Tv Chosun), gli accessori prodotti dagli strani personaggi del K-Pop che fanno parte del cerchio magico di Choi, sponsorizzati dalla presidente Park.



E’ possibile che il cosiddetto Choi-gate porterà davvero all’impeachment della presidente Park Geun-hye e a elezioni anticipate – anche se nulla si muoverà prima di gennaio prossimo, quando è previsto il ritorno a Seul dell’ex segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon, possibile candidato vincente. Sabato e domenica diecimila persone sono scese in piazza, a Gwanghwamun, per chiedere le dimissioni della presidente. Ma in molti in questo momento, soprattutto alla Casa Bianca, si stanno domandando chi fosse il vero detentore del potere in Corea del sud – uno degli alleati più strategici nel Pacifico e cruciale per il problema nordcoreano.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.