Preghiere davanti al Muro del pianto a Gerusalemme (foto LaPresse)

Il voto all'Unesco è parte di uno tsunami contro Israele che arriva dall'Europa

Giulio Meotti
E’ una specie di ipnosi: cancellare Israele, costi quel che costi. Non solo col sangue, ma anche con l’inchiostro. E’ questo il significato della risoluzione dell’Unesco, con sede a Parigi, che ha reso “Jüdenrein” (libera da ebrei) Gerusalemme.

Roma. Nel 2010, il Reut Institute di Tel Aviv pubblicò un rapporto che recitava: “Israele andrà incontro a un’ondata di delegittimazione globale”. Sei anni dopo, l’ondata è diventato uno tsunami. E per fermarlo, Israele non può schierare la fanteria, i checkpoint, gli F-35, le batterie antimissile. E’ una specie di ipnosi: cancellare Israele, costi quel che costi. Non solo col sangue, ma anche con l’inchiostro. E’ questo il significato della risoluzione dell’Unesco, con sede a Parigi, che ha reso “Jüdenrein” (libera da ebrei) Gerusalemme. Lo vedi, per citare una serie di episodi nell’ultimo anno, quando l’Unione europea toglie Hamas dalla “lista nera” dei terroristi. Lo vedi quando alla Knesset il governo israeliano presenta la lista dei paesi nemici e, oltre all’Iran, scopri che è entrata in lista anche la Svezia. Lo vedi quando il Consiglio dei diritti umani di Ginevra fa un’altra “lista nera” con le aziende che fanno affari nei Territori amministrati da Israele.

 

Lo vedi quando Daniel Goldhagen, nel libro “The devil that never dies”, annuncia che “oggi duecento milioni di europei vedono Israele come simil nazista”. Lo vedi quando Leila Zerrougui, commissaria Onu per i bambini nei conflitti armati, include Israele in una lista assieme a Isis, Boko Haram e talebani. Lo vedi quando il Consiglio di sicurezza dell’Onu quest’anno condanna gli attentati in Francia, Sinai, Libano, Mali, Tunisia, Turchia, Iraq, Siria, Nigeria, Burkina Faso, Somalia e Sudan, ma mai in Israele. Lo vedi quando, da Napoli a Palermo alla banlieue parigina, i sindaci di tante città danno la cittadinanza onoraria a Marwan Barghouti, stragista e stratega dell’Intifada (no, non ci sono strade intitolate a Totò Riina o ai fratelli Abdeslam a Gerusalemme). Lo vedi dal fiume di denaro che le ong ricevono dai paesi europei per far confessare a Israele i suoi “crimini di guerra” (hanno testimoniato questa settimana al Consiglio di sicurezza dell’Onu). Lo vedi quando politici israeliani, come Tzipi Livni, non possono mettere piede a Londra senza il timore di essere arrestati (è successo a luglio, quando Livni è stata “convocata” dalla magistratura inglese). Lo vedi dal numero di docenti in Europa che aderiscono al boicottaggio dei colleghi israeliani. Lo vedi quando i musei in Danimarca e in Francia allestiscono mostre sui “martiri” palestinesi. Lo vedi quando i titoli di giornale di tutto il mondo, dal New York Times alla Cnn, nascondono i coltelli della Terza Intifada. Lo vedi quando il Journal du Dimanche pubblica un sondaggio da cui emerge che il sessanta per cento dei francesi addossa agli ebrei parte della responsabilità per l’antisemitismo. Lo vedi quando Abu Mazen parla al Parlamento europeo, dichiara che Israele avvelena i pozzi palestinesi e raccoglie una standing ovation. Lo vedi quando i fondi pensioni in Norvegia escono dal mercato israeliano per ragioni “etiche”. Lo vedi quando le chiese di Londra riproducono il checkpoint di Betlemme ai piedi dei loro altari. Lo vedi quando le donne israeliane sono uccise nelle loro case e il presidente Hollande si rifiuta di inserirle nell’elenco delle vittime globali del terrorismo. Lo vedi quando un giudice in Austria stabilisce che gridare “morte agli ebrei” è un legittimo slogan politico. Lo vedi quando un ministro olandese dell’Economia suggerisce di spostare lo stato ebraico in Galizia. Lo vedi quando Israele scompare dai libri di testo della Harper Collins. Lo vedi quando il laburista Jeremy Corbyn sostiene che “i nostri amici ebrei non sono responsabili delle azioni di Israele come i nostri amici musulmani per l’Isis”. Lo vedi quando il quotidiano più venduto in Svezia accusa i soldati israeliani di prelevare organi ai palestinesi. Contro Israele non occorre portare accuse fondate, basta attribuirgli, ricorrendo alla superstizione, di essere la fonte di ogni male, un anacronismo storico, e non la patria dell’umanità. E’ così che Israele, per usare le parole del regista danese Lars von Trier, è diventato “il dito nel culo del mondo”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.