Un momento della manfiestazione di mercoledì contro l'Unesco

Il silenzio italiano sulla Shoah culturale

Claudio Cerasa
L’astensione dell’Italia all’Unesco su Israele è l’ultimo atto di una sospetta e pericolosa sottomissione. Perché la negazione della storia dello stato ebraico coincide con la negazione della sua legittimità dell’esistenza, e tutto questo altro non è che una forma di rimozione della memoria.

Ieri pomeriggio lo abbiamo fatto: siamo andati in piazza, di fronte alla sede dell’Unesco, a Roma, per trasformare il muro dell’Unesco in un Muro del Pianto, per fare un po’ di chiasso pacifico contro la decisione folle dell’organizzazione delle Nazioni Unite di cancellare con una mozione e con un tratto di penna la vita millenaria della Gerusalemme ebraica e lo abbiamo fatto con centinaia di lettori e amici appassionati che con noi hanno deciso di rompere il muro dell’indifferenza inviando un messaggio chiaro: la negazione della storia di Israele coincide con la negazione della legittimità dell’esistenza di Israele, e tutto questo altro non è che una forma di Shoah culturale, di rimozione della memoria. In questa ennesima storia di violenza inaudita che riguarda il popolo ebraico, e non solo, c’è una storia nella storia che è quella dell’Italia. La questione la conoscete: la mozione maledetta che è stata votata all’Unesco e con la quale è stato negato ogni rapporto fra l’ebraismo e il Monte del Tempio e il Muro del Pianto, il primo luogo santo degli ebrei, che da qualche giorno non va più chiamato con l’ebraico “Kotel” ma con l’arabo “al Buraq”, ha ricevuto pochi voti contrari e tra questi non c’è stato il voto dell’Italia, che ha scelto di astenersi.

 

 

 

Al termine della giornata di ieri, quando la nostra manifestazione si è spostata dalla sede dell’Unesco al Palazzo Chigi, due deputati del Partito democratico, Emanuele Fiano e Lia Quartapelle, si sono avvicinati a noi e ci hanno detto di essere in difficoltà: nessuno sa spiegare perché il governo ha dato mandato al suo ambasciatore all’Unesco di astenersi e non, come hanno fatto Germania, Olanda, Stati Uniti e Gran Bretagna, di votare contro una risoluzione scellerata. La storia nella storia non riguarda però soltanto la vicenda dell’Unesco ma riguarda un rapporto più generale che il governo italiano ha scelto di avere con alcuni paesi arabi. La mozione contro Israele è stata depositata dal regime islamico del Sudan, il cui presidente Bashir è ricercato all’Aia, ed è stata sostenuta da alcuni paesi islamici (Algeria, Egitto, Marocco, Oman, Qatar) di fronte ai quali evidentemente il nostro governo ha scelto di non volersi schierare contro. Ci possono essere mille motivazioni politiche e geopolitiche che suggeriscono a un governo di non inimicarsi, diciamo così, i paesi islamici ma negli ultimi due anni ci sono stati alcuni fatti eclatanti, gravi, di fronte ai quali il presidente del Consiglio ha sempre scelto di glissare, personalmente e attraverso la sua maggioranza. Non si può dire, perché non è così, che Renzi non sia amico di Israele, anzi. Si può dire però che alcuni episodi fanno dubitare di una capacità italiana: non essere sottomessi all’islamicamente corretto. Episodio numero uno, ottobre 2015, un anno fa: a Palazzo Vecchio, a Firenze un nudo dell’artista Jeff Koons venne coperto con un paravento per non urtare la sensibilità dello sceicco Mohammed bin Zayed al Nahyan. Episodio numero due, gennaio 2016: il governo riceve il presidente iraniano Rohani e per non urtare la sensibilità dell’ospite sceglie di utilizzare pannelli bianchi per coprire i nudi di marmo durante la visita a Roma del presidente, che non a caso subito dopo la visita ha ringraziato di cuore il presidente del Consiglio per il grande senso di ospitalità mostrato dall’Italia.

 

Episodio numero tre: la scelta, rispetto al riconoscimento della Palestina, di non seguire la linea di Inghilterra e Olanda, che hanno votato contro il riconoscimento, ma di approvare due mozioni pasticciate per non prendere definitivamente posizione e dire sì ma anche nì. A tutto questo va poi aggiunto qualche dettaglio che non è soltanto un dettaglio. La scelta del ministro qatariota Hamad bin Abdulaziz al Kawari di aprire proprio in Italia la sua campagna per l’elezione a direttore generale dell’organizzazione Onu per la cultura. La decisione o forse solo la tentazione di lavorare per un massiccio ingresso di fondi di investimento del Qatar – i cui rapporti con l’estremismo islamico sono più che ambigui, per usare un eufemismo – all’interno del capitale del Monte dei Paschi di Siena. La scelta dello stesso Rohani di puntare sull’Italia come primo paese europeo da visitare da presidente della Repubblica islamica. Sono tutti episodi diversi, molti dei quali legati alla realpolitik, ma sono tutti episodi in cui il governo non fa altro che alimentare la sua ambiguità culturale: come si può, a parole, stare dalla parte di Israele, fare buoni discorsi alla Knesset, dirsi amico del popolo ebraico e poi coltivare ambiguità tipiche da sottomissione con tutti coloro che sognano la cancellazione della memoria, passata e futura, del popolo ebraico? L’astensione dell’Italia all’Unesco non è solo un semplice incidente ma è la spia di un problema più grande che riguarda l’identità di un paese, e che riguarda un tema che chi ha a cuore le sorti d’Israele non può che augurarsi che sia risolto in fretta. Grazie.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.