Forze di sicurezza irachene nell'offensiva contro l'Isis a Mosul (foto LaPresse)

La vera chiave per la conquista di Mosul

Daniele Raineri
Perché saranno i sunniti presenti nella capitale dello Stato islamico a decidere quanto durerà la battaglia – di Daniele Raineri

Roma. Nessuno sa con certezza quanto durerà la battaglia per riprendere Mosul, conquistata dallo Stato islamico nel giugno 2014, ma il fattore che conterà più degli altri è cosa faranno i sunniti che vivono dentro la città. Possiamo dividerli in tre categorie. Ci sono i sunniti che stanno con lo Stato islamico, che al fondo è sunnita (segue una sua interpretazione e qui non c’è lo spazio per aprire un dibattito teologico, ma l’ambito è quello: ultraestremisti sunniti, che odiano a morte gli sciiti). Poi ci sono i mosulawi sunniti che non stanno con lo Stato islamico e tentano una via discreta alla sopravvivenza giorno per giorno: non si ribellano alle imposizioni del gruppo, ricordano con nostalgia quando la città era il serbatoio naturale della classe dirigente del paese sotto Saddam Hussein (“La città del milione di ufficiali” era detta, per l’assoluta prevalenza di abitanti di Mosul tra i quadri dell’esercito e della polizia), vedono con apprensione la campagna cominciata ieri per liberare la città perché temono eccessi e rappresaglie da parte delle truppe governative, che sono fedeli al governo centrale di Baghdad – sciita e quindi considerato ostile (per questo il primo ministro Haider al Abadi si è sforzato di stare al di sopra delle parti: “L’ora è arrivata. Gente amata di Mosul, l’Iraq celebrerà questa vittoria come una nazione sola”).

 

Infine c’è una terza categoria di sunniti, per ora la più ristretta, formata dai civili che hanno preso le armi contro lo Stato islamico e agiscono come una quinta colonna in territorio nemico. Compiono atti di sabotaggio, hanno ucciso alcuni uomini di Baghdadi che si sono fatti sorprendere in angoli isolati di Mosul, tracciano sui muri con vernice spray rossa la lettera M che in arabo sta per “muqawama”, resistenza. Che esistessero davvero, a parte una pagina facebook aggiornata un paio di volte a settimana e senza foto, era poco più di una leggenda senza prove di fatto, ma è lo stesso Stato islamico a confermare. Domenica sera ha pubblicato il secondo video di una serie intitolata “Deterrenza contro i mercenari” in cui obbligano alcuni membri della muqawama a recitare nella parte di loro stessi: li filmano mentre fingono d’incontrarsi in segreto, mentre tracciano con le bombolette spray la M sui muri, mentre complottano contro lo Stato islamico, li registrano mentre confessano. Infine, come nel primo episodio della serie uscito a fine agosto, li ammazzano per strada (l’esecuzione è cruenta, i boia usano fucili a pompa per ottenere il massimo dello sfregio contro i corpi delle vittime).

 



 

La lettera M tracciata sui muri ha due scopi: indica le case e le basi dello Stato islamico – geniale contrappasso della N di “nazareni” con cui gli estremisti marchiavano le case dei cristiani dopo la conquista della città nel 2014 – sotto un cielo affollato da droni di sorveglianza e crea in generale una forte pressione psicologica su chi credeva di avere Mosul in pugno. Ieri tutti gli articoli dei giornali internazionali raccontavano la stessa cosa: molti uomini dello Stato islamico sono stati avvistati mentre lasciavano Mosul prima che l’assedio diventi definitivo. “Di solito vediamo i loro mezzi nelle strade con le mitragliatrici, adesso vediamo molti veicoli carichi di mobili che si allontanano”.

 

Le tre categorie di sunniti dentro Mosul fin qui spiegate non sono fisse: si può passare da una all’altra. Un comandante curdo coinvolto nell’operazione per liberare Mosul ha raccontato al Foglio che nel 2014 era di stanza in una piccola base dentro una fattoria poco fuori la città. Il padrone della fattoria, a cui i curdi pagavano l’affitto, era in modo aperto a favore dell’arrivo dello Stato islamico e diceva “Vedrete, quando arriveranno loro”. I curdi, ultimi a cedere le loro posizioni dopo il dissolvimento in poche ore delle divisioni irachene che dovevano proteggere la città, abbandonarono la base-fattoria. Ma un mese dopo il padrone telefonò al comandante curdo: “Credevo fossero angeli scesi sulla terra, sono dei dèmoni. Quando tornate?” (nota: anche moltissimi curdi sono sunniti, e alcuni si sono arruolati con lo Stato islamico, ma si può dire che in genere seguono un islam lontano dalle deviazioni baghdadiste).

 

E’ questo elemento sunnita che deciderà quanto durerà la battaglia di Mosul. Intrappolati dentro la città, i civili non hanno armi – sequestrate da tempo, proprio per evitare rivolte – ma possono collaborare in altri modi con le forze in arrivo da fuori e contribuire a quel genere di pressione che spingerà gli uomini dello Stato islamico verso due possibili soluzioni. O faranno come a Sirte, in Libia, e sarà un disastro perché laggiù per quattro mesi hanno deciso di resistere fino all’ultimo uomo e fino all’ultimo cecchino, infliggendo ai liberatori perdite pesantissime (seicento morti su seimila combattenti) oppure faranno come a Manbij, una città nel nord della Siria liberata a fine agosto. Secondo una lettera rivenuta dal settimanale americano Newsweek, il gruppo aveva imposto ai suoi uomini una soluzione suicida, resistere fino alla fine. Tuttavia, dopo combattimenti violenti durati mesi, i leader locali dello Stato islamico hanno optato per una ritirata strategica, forse concordata con gli aggressori: a bordo di un lungo convoglio di macchine, circondato sui due lati da colonne di civili a piedi come scudi umani, hanno abbandonato la città. Anche a Mosul, secondo il Washington Post, è stata lasciata una via di fuga per far fuggire gli estremisti.

Di più su questi argomenti:
  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)