Mariano Rajoy (foto LaPresse)

Come risolvere il “rompecabeza” della politica spagnola

Silvia Ragusa
Domenica le elezioni locali in Galizia e Paesi Baschi potrebbero sbloccare qualcosa, ma il paese, e non solo il Parlamento di Madrid, sembra non riuscire più a reagire all’immobilismo. Soluzioni e ipotesi
Madrid. A Madrid due ipotesi, apparentemente contradditorie, si fanno largo all’interno del dibattito pubblico: gli elettori sono stanchi della paralisi e vogliono un governo; questi stessi elettori hanno preferenze così diverse che fare un governo sembra impossibile. La via di una sinistra compatta (Psoe+Podemos) o di un accordo con le forze nazionaliste (così come accadeva un tempo) è sbarrata. Al momento il “rompecabeza” iberico prevede solo due scelte: l’astensione dei socialisti o, ancora una volta, il ritorno alle urne.
 


Tra il grottesco goyesco e il surrealismo di Dalì, da giorni i sondaggisti sono i primi a generare mostri. La possibilità di un aumento dei disertori del seggio, secondo le ultime indagini statistiche, è alta: tra il 35 e il 40 per cento. Come a dire oltre 10 milioni di cittadini a questo giro resterebbero ben volentieri a casa. L’ultima volta fu nel 1979: all’epoca vinse Adolfo Suárez in un clima politico molto frammentato, in cui la democrazia cristiana spagnola cominciava a vacillare, l’Eta intensificava la sua campagna del terrore, l’instabilità economica mostrava i sintomi di una febbrile inflazione e l’astensionismo segnava un record storico (32 per cento). Oggi, secondo un sondaggio di Metroscopia, il 71 per cento dei cittadini non vuole tornare alle urne e pensa spetti alla politica risolvere il nodo gordiano. Perfino più della metà degli agguerriti simpatizzanti di Unidos Podemos si rifiutano di prendere ancora una volta la scheda elettorale in mano.


Da giorni poi proliferano editoriali e arringhe contro l'incapacità di Mariano Rajoy, Pedro Sánchez, Pablo Iglesias e Albert Rivera di accordarsi, se non per accelerare la campagna elettorale ed evitare che le ipotetiche elezioni si celebrino proprio il giorno di Natale. L’attuale classe politica, “meriterebbe uno sciopero generale degli elettori” proponeva, tra il serio e il faceto, il sociologo Santos Julía su El País. La sua indignazione non è certo l’unica. Il richiamo alla ribellione risuona forte. Qualcuno ha perfino pubblicato su change.org una petizione al re Felipe: maestà congeli lo stipendio ai politici fino a quando non saranno in grado di formare un nuovo governo.


Il politologo Fernando Vallespín, professore all’Università Autonomia di Madrid, tra i massimi esperti di teoria politica riconosciuti nel paese, nonché ex presidente del Cis (l’Istituto di statistica nazionale), non ha dubbi a riguardo: il paese vive una “guerra fredda”, un “immobilismo perfetto”. In questo contesto, convocare nuove consultazioni non risolverebbe nulla. “Non ha senso. La gente è stufa e non credo che i risultati cambierebbero di molto”, spiega al Foglio. “Il paese è frammentato. A livello generazionale le discrepanze sono fortissime: i giovani votano Ciudadanos e Podemos, gli anziani i vecchi partiti. E’ difficile che qualcosa si muova. E se così fosse, si tratterebbe comunque di percentuali minime. Il problema è che siamo abituati a un bipartitismo in cui funzionava bene l’alternanza. Immagino che poco a poco ci dovremmo disabituare, perché il fenomeno quadripartitico non è più di passaggio. E’ successo anche in altri paesi europei, le società si sono divise, spezzettate. Non esiste ormai un partito di massa che abbia la capacità di catalizzare il voto”.

 

Per il politologo non resta altro che affidarsi all’audacia. La migliore delle soluzioni risiede nella rigenerazione dei candidati (Rajoy in primis, dice) ma nessuno sembra disposto a cedere. “La responsabilità di attuazione risiede nei partiti, non nei cittadini. Non si può chiedere alla gente di intervenire fino a quando non si sblocca il Parlamento. La mia impressione è che arriverà un momento, probabilmente dopo le elezioni regionali nei Paesi Baschi e in Galizia, in cui Pedro Sánchez si renderà conto che non c’è alternativa al Partito popolare. Non sappiamo quale sarà la formula utilizzata, se un’astensione o un appoggio parziale. Il problema è come farà a spiegarlo agli elettori, dato che Mariano Rajoy è il nemico per antonomasia non solo dei socialisti ma anche di tutte le altre forze in campo. Rappresenta un tipo di politica che entra in collisione con la politica che il resto del Paese sta cercando”.


Nulla di quanto successo in questi ormai nove mesi d’inutili sforzi e accuse reciproche ha fatto cambiare idea agli elettori. Lo scorso 20 dicembre (e poi il 26 giugno) gli spagnoli hanno votato un sistema pluripartitico. “C’è stata una grande speranza di rigenerazione politica, eppure i partiti politici, vecchi e nuovi, continuano ad affidarsi a quello che io chiamo patriottismo di partito. Mi preoccupa immaginare cosa potrà accadere dopo. Ci stiamo giocando molto”, conclude Vallespín.