Manuela Carmena, magistrato in pensione di 72 anni, sindaca di Madrid dal 24 maggio dello scorso anno (foto LaPresse)

Madrid solitaria y final

Eugenio Cau
Dopo un anno e mezzo di governo della capitale, che fine ha fatto il trionfalismo di Podemos e della sindaca Manuela Carmena? Cronaca di un piccolo grande tonfo.

Manuela Carmena si è fatta pregare per mesi prima di convincersi. Ha rifiutato le esortazioni della sua cerchia ristretta di amici, poi dei collaboratori della sua associazione per i diritti dei detenuti e dei suoi colleghi in magistratura, dei dirigenti locali del partito, come Jesús Montero, che ha trascorso mesi a inseguirla, e infine ha rifiutato perfino le lusinghe di Pablo Iglesias, il leader di Podemos. Sei perfetta, le dicevano tutti, il clima sta cambiando, siamo pronti a conquistare Madrid, e tu devi essere la nostra candidata alle prossime elezioni. Era l’inizio del 2015, e Manuela Carmena, magistrato in pensione di 70 anni (oggi ne ha 72), ancora diceva no. La rivoluzione che sta spazzando via la vecchia politica in Spagna, sosteneva, ha bisogno di un volto giovane.

 

Secondo l’agiografia politica, a convincerla che era il momento di scendere in campo fu la visione di un film sulle sofferenze delle donne afghane. Podemos creò un franchising a sua immagine e somiglianza: Ahora Madrid, frutto dell’unione del partito locale con i più importanti movimenti sociali della sinistra madrileña, come Ganemos Madrid, Equo e i fuoriusciti postcomunisti di Izquierda Unida. Un carrozzone litigioso di ultrasinistra che in altri tempi non avrebbe avuto speranze. Ma il 2015 in Spagna è stato l’anno del “cambio”, del rinnovamento, gli scandali di corruzione mordevano i partiti tradizionali, tutti sembravano pronti a ribaltare l’ordine costituito. Il 24 maggio 2015 Carmena vince le elezioni, Ahora Madrid non ottiene la maggioranza all’Assemblea comunale ma può contare sull’appoggio dei socialisti. Podemos ha messo la bandierina sulla capitale di Spagna, e in tutto il paese i sostenitori della formazione antisistema pensano: sí, se puede. Fuori dalla Spagna, gli osservatori politici guardarono interessati al caso Madrid: è la prima volta che una grande capitale europea è governata da un movimento populista che promette onestà e un rinnovamento totale rispetto al passato. Per forza di cose, il caso madrileño avrebbe fatto da apripista a tutti i movimenti simili nel continente.

 

Da allora, per un anno e un mese quasi esatti, dal 24 maggio 2015 al 26 giugno 2016, Pablo Iglesias ha avuto un’arma segreta nel suo arsenale retorico: gli “ayuntamientos del cambio”. Perché Podemos a quella tornata elettorale non ha conquistato solo Madrid, ma anche la capitale economica del paese, Barcellona, oltre che altre città di prima fascia come Valencia, Cadice, Saragozza, La Coruña. Gli “ayuntamientos del cambio”, diceva Iglesias, sono la “migliore garanzia” per fidarsi di Podemos. “Quando penso che posso diventare premier lo faccio pensando ai sindaci e alle sindache che hanno iniziato ‘el cambio’ in Spagna: sono il nostro esempio”. Ma quando le elezioni politiche sono arrivate, per la seconda volta il 26 giugno di quest’anno, Podemos ha subìto la peggior delusione della sua storia – non in termini assoluti, ma in relazione alle aspettative esagerate fatte trapelare alla vigilia del voto. A tradire Podemos è stata una campagna elettorale troppo tronfia, la stanchezza degli elettori, l’alleanza con la sinistra comunista. Ma più di tutti, ad affossare il leader antisistema è stato il suo fiore all’occhiello, gli ayuntamientos del cambio. Negli otto principali comuni governati da Podemos, il partito ha perso 190.204 voti tra il 20 dicembre, giorno delle prime elezioni politiche, e il 26 giugno, giorno della loro ripetizione. Di questi, 105.597 voti sono andati perduti soltanto a Madrid, trasformando immediatamente la capitale da banco di prova del governo di Podemos a un laboratorio di fallimento.

 

Dal palazzo di Cibeles, dove ha sede il governo di Madrid, Manuela Carmena ha sempre rigettato ogni accusa. Trarre conclusioni a livello nazionale dai risultati locali è fuorviante, e soprattutto, dice la sindaca, io non sono di Podemos. Non sono organica al partito, sono una personalità esterna e la candidata di un gruppo di formazioni di cui Podemos è solo una componente. Certo. Eppure, per vicinanza politica e ideologia, un governo Carmena a Madrid può facilmente essere definito un governo Podemos. Dall’elezione della sindaca sono ormai passati un anno e mezzo, qual è il bilancio della sua amministrazione? Partiamo dai numeri.

 

L’accusa principale rivolta a Carmena dall’opposizione è quella di aver castrato l’economia di Madrid con misure depressive innaffiate da un’ideologia anti mercato e anti imprenditoria. “Sebbene l’ambito di competenza del comune sia ridotto, molte cose sono state fatte male”, dice al Foglio Juan Ramón Rallo, economista liberale e direttore dell’istituto Juan de Mariana, che definisce così la performance economica dell’amministrazione Carmena: “Più spesa pubblica, più tasse, più deficit e più lacciuoli all’imprenditorialità”. I dati, come ha notato il Mundo qualche tempo fa facendo un bilancio sul primo anno di Carmena, sembrano confermarlo. Secondo la Confederazione degli imprenditori di Madrid (Ceim), nel primo trimestre del 2016 il tasso di disoccupazione nella capitale è aumentato di quasi un punto sotto l’amministrazione Carmena, arrivando al 17,1 per cento. Nella regione circostante la disoccupazione è al 16,8 per cento, e questo costituisce un unicum: è insolito che una metropoli in grado di attirare risorse abbia un tasso di disoccupazione più alto della regione che le sta intorno. Questo trend è iniziato nel terzo trimestre del 2015, quando Carmena era appena arrivata al governo, ma non ha fatto che peggiorare sotto la sua amministrazione, mentre nel resto del paese la disoccupazione diminuiva a tassi record.

 

Certo, dicono i sostenitori di Carmena, non è facile quando il tuo predecessore ti lascia la città con un gigantesco buco di bilancio. E’ vero: nel maggio del 2015, quando Carmena è arrivata al palazzo di Cibeles, il debito della città di Madrid ammontava a 5,8 miliardi di euro. Oggi si è ridotto a 4,7 miliardi, e questo è stato salutato come un grande successo economico: visto?, la sindaca degli antisistema ha responsabilmente ridotto il debito. Anche questa è una verità parziale, perché la riduzione del debito, che nel 2012 ammontava a 7,7 miliardi, era già iniziata sotto la sindaca che aveva preceduto Carmena, Ana Botella del Partito popolare. Soprattutto, come ha scritto il Confidencial, a ridurre il debito della capitale più che le sindache di vari colori è stato Cristóbal Montoro, l’austero ministro delle Finanze del governo centrale, che con una serie di provvedimenti nel corso degli anni ha legato le mani e ridotto le spese dei governi municipali.

 

Questo non ha impedito al comune di Madrid di sforare per la prima volta dal 2013 i limiti di spesa imposti dal governo. Nonostante il debito, Botella aveva lasciato i conti del comune di Madrid con un surplus di 177 milioni di euro che Carmena ha dilapidato, riportando l’amministrazione in deficit a -17 milioni nel 2015, con previsioni di arrivare a -367 milioni nel 2016. Il deficit serve a finanziare una spesa pubblica in aumento del 2,3 per cento (con un +26 di spesa per il sociale, secondo il budget 2016), ma questo non è bastato a scongiurare un aumento delle tasse. Il comune ha previsto di ottenere nel 2016 un +4 per cento di imposte e un +15 per cento di tasse. L’amministrazione ha ridotto l’imposta sui beni immobili per i privati, ma ha aumentato quella sulle attività economiche, quella sulle nuove opere e introdotto una nuova tassa sui rifiuti.

 

Queste iniziative, come hanno mostrato i dati del giornale online LibreMercado, hanno provocato un crollo del clima di fiducia delle imprese, a cui è corrisposta una fuga degli investimenti stranieri. Nel primo trimestre del 2016, nella regione di Madrid gli investimenti stranieri sono crollati del 33 per cento su base annua, mentre nel resto del paese sono aumentati dello 0,7 per cento. Il crollo è ancora più evidente se si pensa che nel 2015 gli investimenti nella capitale spagnola crescevano a un ritmo vicino al 60 per cento. I due principali scandali dell’amministrazione Carmena ruotano appunto attorno a grandi investimenti a cui, per impuntamento ideologico, la sindaca ha rinunciato. Il caso più notevole riguarda il grattacielo di plaza de España, un edificio storico comprato nel 2014 per 256 milioni di euro dal gruppo cinese Wanda con l’intenzione di farne un hotel extralusso. Gli accordi erano già stati presi con l’amministrazione precedente, ma Carmena, adducendo questioni di salvaguardia del patrimonio storico-artistico, ha negato le autorizzazioni.

 

Dopo un lungo tergiversare, Wanda ha messo in vendita l’edificio appena comprato e ha annunciato che non solo abbandonerà tutti gli investimenti a Madrid, ma anche in altre parti della Spagna. In tutto, ha calcolato il quotidiano di opposizione La Razón, sono a rischio 5 miliardi di investimenti e 35 mila posti di lavoro. Non meno rilevante è stato il tracollo dell’“operación Chamartín”, un grande progetto di riqualificazione di 320 ettari di terreno a nord di Madrid. Il piano era già stato firmato dalla sindaca Botella, e prevedeva per la zona la costruzione di 17 mila case, di un nuovo quartiere finanziario che avrebbe compreso anche il grattacielo più alto dell’Unione europea, zone verdi, nuovi snodi del traffico. Gli appalti erano stati assegnati e il governo centrale aveva già speso 700 milioni per iniziare le opere. Ma Carmena ha messo il veto. Il progetto, secondo la sindaca, era poco sostenibile, e dal suo assessore all’urbanistica è arrivata una nuova roadmap che prevedeva la riduzione di oltre la metà del piano originario. Gli investitori si sono ribellati, il governo ha chiesto indietro al comune i suoi 700 milioni, e per ora l’operación Chamartín è sospesa. Secondo il Mundo, la riqualificazione dell’area avrebbe prodotto 120 mila nuovi posti di lavoro, che per ora sono perduti. I blocchi di Carmena agli investimenti in città però sono tanti e granulari. Uno dei più recenti riguarda il no alla costruzione di 443 case da parte di una cooperativa di altrettante famiglie al posto di alcuni depositi in disuso della metropolitana. L’amministrazione comunale ha bloccato il progetto definendo i vecchi capannoni come luoghi di interesse storico-artistico.

 

La storia e il curriculum della sindaca, fino al 1981 avvocato impegnato in cause per i diritti dei lavoratori e fino al 2010, anno della sua pensione, giudice impegato in cause spesso controverse, aiuta a comprendere i suoi no. Carmena si è sempre qualificata come un’attivista e militante dell’allora clandestino Partito comunista spagnolo, a partire da quando, nel 1977, scampò per un pelo al massacro di Atocha, in cui un gruppo di assassini franchisti uccisero cinque avvocati di sinistra o legati ai sindacati. Carmena ha sempre goduto di una certa fama, ma l’evento che l’ha trasformata nella candidata ideale di Ahora Madrid è stata la pubblicazione, nel 2014, di “Por qué las cosas pueden ser diferentes: Reflexiones de una jueza”, libro-manifesto che di fatto allineava l’attuale sindaca con le istanze di rinnovamento rivoluzionario espresse da Podemos.

 

E’ difficile dire fino a che punto i numeri deludenti dell’amministrazione Carmena a Madrid abbiano influenzato la vita e il clima dei cittadini della capitale. Nelle ultime settimane il giornale di opposizione Abc ha lanciato una grande campagna contro il degrado della città, descrivendo Madrid come “divorata dalla spazzatura”, e ai suoi appelli hanno fatto seguito quelli dei giornali di centrosinistra come il País, che ha scritto che in città, e soprattutto nel centro turistico, c’è un chiaro “problema di pulizia”. Molte critiche sono piovute inoltre sul nuovo piano per la sicurezza che equipara le vittime e gli artefici dei crimini comuni come ugualmente colpiti dall’ingiustizia sociale. Il tasso di approvazione di Carmena si aggira intorno al 50 per cento, ma secondo un sondaggio commissionato a maggio da Ahora Podemos, i madrileñi non danno la sufficienza all’operato della loro sindaca: alla richiesta di giudicare Carmena con un voto da uno a dieci, i cittadini le hanno dato un 5,9.

 

Nel frattempo, a frantumarsi è stato Podemos a Madrid. Divisioni, gelosie, lotte per il potere nate nella capitale si sono estese a livello nazionale, dove Podemos soffre della rivalità tra il segretario generale Iglesias e il suo numero due Iñigo Errejón. Podemos, che è un prodotto squisitamente madrileño, nella capitale sta vivendo le sue più grandi frizioni interne, con bande rivali che si scontrano tra loro per il potere. A marzo sono iniziate le prime dimissioni di dirigenti del partito locale, compreso il segretario, che hanno abbandonato in polemica con la gestione intransigente di Iglesias, e le polemiche e le lotte tra gruppi opposti non sono state placate nemmeno dall’annuncio, pochi giorni fa, di nuove primarie interne.

 

Un anno e mezzo di governo di Ahora Madrid ha lasciato Podemos in crisi dal punto di vista elettorale e dell’organizzazione interna. Ma secondo Juan Ramón Rallo, non è ancora il caso di trarre conclusioni a livello nazionale. “In Spagna i comuni hanno molti meno poteri rispetto alla regioni o al governo centrale”, dice Rallo. “Questo fa sì che il margine di danno che può compiere un governo municipale sia molto ridotto, e per questo le decisioni adottate da Carmena non possono ancora intendersi come un riflesso di quelle che prenderebbe Podemos. Un’eventuale ascesa di Podemos al governo spagnolo, infatti, potrebbe provocare danni infinitamente maggiori”.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.